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Cinespresso | April 26, 2024

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Manchester by the Sea: legami (ri)scoperti

Marco Minniti

Review Overview

Cast
7.5
Regia
7
Script
7.5

Rating

Melodramma giocato in sottrazione, forte della notevole prova di Casey Affleck e di un’attenta scrittura, Manchester by the Sea rifugge il linguaggio delle emozioni sfacciate, mettendo in scena una vicenda che dall’individuo si allarga alla collettività. Il risultato, a dispetto di una colonna sonora a tratti invadente, è solido e capace di emozionare in modo genuino.

Anno: 2016 Distribuzione: Universal Pictures Durata: 135′ Genere: Drammatico Nazionalità: Usa Produzione: K Period Media Regia: Kenneth Lonergan Uscita: 01 Dicembre 2016

Incluso nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, quello di Kenneth Lonergan è un intenso melò, il cui sguardo, dalla vicenda di un singolo, si allarga a comprendere quella di un’intera comunità

Lee Chandler, idraulico residente a Boston, viene a sapere improvvisamente della morte di suo fratello Joe, che era rimasto a vivere nella cittadina natale dei due. L’uomo è costretto così a imbarcarsi in un vero e proprio viaggio nel suo passato, tornando dopo molti anni nella comunità di pescatori dove aveva vissuto parte della sua vita: qui, Lee ritrova i suoi amici di un tempo, la ex moglie da cui aveva divorziato anni prima, ma soprattutto il figlio adolescente di Joe, Patrick. Mentre la permanenza nella cittadina inizia a ridestare in Lee i fantasmi del passato, e in particolare di una tragedia che l’uomo aveva cercato in tutti i modi di rimuovere, l’apertura del testamento di Joe fornisce una rivelazione sorprendente: Lee, secondo le volontà del fratello defunto, è infatti il nuovo tutore designato di Patrick.

Melodramma in sottrazione, tutto basato su una gestione parca e contenuta delle emozioni esplicite, Manchester by the Sea è il nuovo lavoro da regista dello statunitense Kenneth Lonergan, presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2016. Un film, quello di Lonergan, che si è rivelato tra le visioni più interessanti dell’intera selezione della manifestazione; e ciò non solo in virtù della notevole prova di Casey Affleck, nei panni del tormentato e dolente protagonista. Il cineasta americano (sceneggiatore prima che regista: e si vede) è riuscito infatti a integrare al meglio il registro del dramma con quello della commedia, strutturando il film in un’articolazione a flashback che disvela gradualmente la tragedia sepolta nel passato del protagonista. Una tragedia nel quale lo spettatore viene condotto passo dopo passo, quasi con garbo, mantenendo nei confronti del materiale trattato una distanza che è figlia del pudore (e del rispetto) per le vicende dei personaggi.

Quello di Lonergan è un melodramma che dalla vicenda di un singolo individuo allarga la sua visuale fino a comprendere quella di un’intera comunità: lo stesso titolo, in questo senso, è quasi una dichiarazione di intenti. Manchester, sì, ma by the Sea: il mare, elemento dalla forte valenza simbolica (più volte messo in evidenza dalla regia), si fa per la cittadina canale di comunicazione con l’esterno, ma anche marcato elemento identitario. Un’identità condivisa, malgrado tutti i suoi tentativi di allontanarsene, dallo stesso personaggio interpretato da Affleck: l’elemento della barca, strenuamente difeso dal giovane Patrick dai tentativi dello zio di disfarsene, assurge in questo modo a oggetto-simbolo di un intero mondo di valori e affetti. E, nel raccontare una vicenda che è personale e collettiva insieme, il regista sceglie anche di rifuggire da una narrazione classica: il suo è racconto del quotidiano, senza un vero happy (o bad) ending, senza la pretesa di esaurire in sé le vicende dei suoi personaggi. Solo un pezzo di vita vissuta, che della vita ha anche l’alternanza, a volte senza soluzione di continuità, dei toni e dei registri.

Registicamente rigoroso, forte di un’efficace scrittura e di buone prove attoriali (ad Affleck si affianca un’ottima Michelle Williams, oltre al giovane Lucas Hedges), Manchester by the Sea trova qualche limite in una colonna sonora a tratti invasiva e ridondante, e in qualche scivolone (specie nei flashback) sull’accidentato terreno del melò esplicito. Quando, per necessità narrative, il racconto deve scegliere di mostrare esplicitamente, anziché suggerire, il tono del film oscilla verso un registro “urlato” che non gli si confà. Si tratta, comunque, di pochi e localizzati episodi, che non inficiano nel complesso un’opera che, in 135 minuti, sa come coinvolgere ed emozionare (in modo genuino e duraturo) senza facili scorciatoie.

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