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Cinespresso | March 19, 2024

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La Pelle dell’Orso, al cinema la scommessa di Segato

Ireneo Alessi

Review Overview

Cast
6.5
Regia
6.5
Script
6.5

Rating

Quello di Marco Segato è un film dall’animo asciutto e genuino come i prodotti delle terre che narra. Un’opera prima dal sapore indipendente, senza spettacolarizzazione né audaci rielaborazioni, che con i suoi silenzi e con lentezza riesce a teletrasportare chiunque s’incammini nei 92 minuti di visione in un cinema d’altri tempi.

Anno: 2016 Distribuzione: Parthénos Durata: 92′ Genere: Avventura, Drammatico Nazionalità: Italia Produzione: Jolefilm, Rai Cinema Regia: Marco Segato Uscita: 03 Novembre 2016

L’incontro-scontro tra padre e figlio, un rapporto incrinato ormai da anni che rinasce, sullo sfondo delle Dolomiti, grazie al temibile “diaol”, un vecchio orso pronto a togliere loro il sonno e a regalare forse la promessa di una nuova vita

Domenico ha 14 anni. Per tutti è il figlio della ‘bestia’, o meglio Pietro Sieff, l’uomo che con la perdita della moglie ha dimenticato come si sta al mondo. Nomen omen, dicevano i latini, e non è un caso che in uno di quei riti di passaggio dalla bella alla cattiva stagione ne interpreti la maschera più selvaggia. Si apre così la narrazione di quest’opera diretta da Marco Segato, al suo debutto sul grande schermo, sceneggiata insieme a Enzo Monteleone e Marco Paolini, interprete quest’ultimo del padre del ragazzo.

Una storia ambientata negli anni ‘50, nel cuore delle Dolomiti, tratta dal romanzo di Matteo Righetto ed edito da Ugo Guanda. Perfettamente incarnato da Leonardo Mason, Domenico è un ‘bocia’ introverso ma tanto assennato, ansioso di dimostrare il suo valore al padre e agli altri del villaggio. È per questo che ogni giorno, ultimata la routine di mansioni si dedica a sparare con il fucile di nascosto. Del loro passato si sa poco. Nella vita dura di montagna non c’è spazio per pensieri di un certo tipo…

A turbare la stagnante quiete delle loro vite, la minaccia di “diaol”, il diavolo, un vecchio orso che incombe e muta in avventura un futuro che sembra ormai del tutto scritto. La comunità è nel panico e non ha la forza di reagire davanti all’atavica presenza. Soltanto Pietro, una sera all’osteria, fiutandone l’opportunità, in un impeto d’orgoglio si gioca lo stipendio di un intero anno scommettendo contro Crepaz, il titolare della cava del paese, di dare la caccia all’orso. Raccolta la sfida, tra lo scherno dei presenti, l’uomo dall’aspetto burbero, si prepara a partire all’insaputa del figlio. Per un uomo come lui, consumato dal vino e dalla solitudine, la cattura dell’animale prima di un gesto altruistico è l’occasione di riscatto davanti alla comunità, la riprova che sotto quella pelle c’è ancora qualcosa di buono.

Venutolo a sapere, il mattino seguente, Domenico decide di seguirlo: un po’ di speck e formaggio nella borsa ed il fucile “carico a palla”. Un cammino verso l’ignoto che rappresenta anche la ricerca di se stesso, e dal quale ne uscirà forgiato. In questo viaggio incontrerà Lucia Mascino nei panni di Sara, una donna dall’aura materna che via via avvicinerà i due fra le asperità di una natura dove non sempre l’orso coincide con l’animale… Chi è l’uomo e come reagirà la bestia agli intrusi? La posta in gioco come sempre è quella densa ‘pelliccia’, ossia la vita, in tutte le sue sfaccettature. Che alla fine “la pelle dell’orso” non sia proprio l’emblema del cambiamento da parte di un uomo dall’umanità oramai “in letargo”, e sempre più assimilabile a una bestia? Scopritelo da soli seguendone le tracce.

Un film che mira all’essenziale. Asciutto e genuino come i prodotti della gente che abita fra quelle cime. Non senza sbavature, ma capace di autentiche emozioni. Le riprese come i suoi ruvidi protagonisti assomigliano alla scorza di quegli alberi, immortalati fin da subito, in cui la natura è coprotagonista. Vi è la montagna coi suoi valori e le sue regole, la dimensione dell’ascolto, della contemplazione; una quotidianità fatta di piccoli gesti e d’intimità, come di uno sguardo al riparo nel cuore della notte. Per il regista nativo di Padova, dove è attivo tra documentari e spettacoli teatrali, è di sicuro un film d’altri tempi, così come la dedica ascritta fra i titoli di coda al compianto Carlo Mazzacurati.

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