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Cinespresso | April 26, 2024

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Hybris: quattro amici in una baita, e i fantasmi del passato

Hybris: quattro amici in una baita, e i fantasmi del passato
Marco Minniti

Review Overview

Cast
5
Regia
6
Script
5

Rating

Il ventunenne Giuseppe Francesco Maione esordisce con un horror che guarda esplicitamente al classico La casa di Sam Raimi; cercando tuttavia di giocare con le attese dello spettatore, e portando la trama su binari improntati a un thriller psicologico sui generis. Il film soffre, tuttavia, di una sceneggiatura carente e approssimativa, che compromette la riuscita dell'operazione.

Anno 2015 Distribuzione Flavia Entertainment Durata 83′ Genere Thriller, Horror Nazionalità Italia Produzione Mirelatives Pictures Regia Giuseppe Francesco Maione Uscita 28 Maggio 2015

L’esordio alla regia di Giuseppe Francesco Maione, classe 1993, mostra coraggio e qualche buona idea di regia, ma fallisce laddove sceglie di puntare tutto su una sceneggiatura debole e confusa.

Fabio, Alessio, Marco e sua sorella Penelope sono quattro giovani che hanno appena perso l’amico Luca, scomparso per una malattia. Per onorare le ultime volontà del defunto, i quattro guidano fino a una baita posta in mezzo al bosco, fuori città, nei pressi della quale dovranno disperdere le ceneri dell’amico. Nonostante la tristezza del viaggio, i quattro si fermano nella piccola costruzione disabitata, e si rilassano con qualche birra, cercando di creare un’atmosfera conviviale: ma ad un tratto, con loro enorme sorpresa, scoprono che porte e finestre della baita sono misteriosamente scomparse. Intrappolati nella casa, i quattro iniziano a sospettare l’uno dell’altro, in una catena di vecchi rancori e segreti che lentamente riemergono. Una forza misteriosa, la stessa che tiene intrappolati i ragazzi, sembra volerli mettere l’uno contro l’altro: lentamente, realtà e allucinazione si confondono, senza soluzione di continuità…

È scoperto ed esplicito, il punto di riferimento del ventunenne Giuseppe Francesco Maione per questo suo esordio alla regia, una produzione indipendente realizzata da uno staff tecnico (e da un cast) composto principalmente da under 30: parliamo de La casa di Sam Raimi, modello a cui hanno guardato molti autori di horror (americani e non) negli ultimi decenni. Un debito che il regista ha esplicitamente ammesso nella presentazione del film alla stampa: “Raimi è un punto di riferimento per quel tipo di ambientazione”, ha detto. “Allora, ci siamo chiesti: perché non prendere questi elementi classici, la baita e il bosco, e non tentare di portarli in Italia?”

Tuttavia, se l’ambientazione, e la situazione di partenza, di questo Hybris richiamano smaccatamente il film di Raimi, il giovane Maione cerca di giocare con lo spettatore, tradendone le attese e portando la trama in direzioni inaspettate: un’operazione che ha qualche punto di contatto con quella che fece (su ben altra scala) l’ironico e metacinematografico Quella casa nel bosco, di Drew Goddard.

Nel film di Maione, infatti, di sangue ce n’è pochissimo: la sua trama si sviluppa piuttosto come quella di un allucinato thriller psicologico, che mette in primo piano le tensioni e i conflitti segreti tra i suoi protagonisti. “Volevo presentare qualcosa di diverso”, ha dichiarato il regista. “Lo splatter è basato su sangue e motoseghe, mentre il nostro film è incentrato più sui personaggi. Volevamo proporre qualcosa di semplice e diretto, perché tutto è in funzione della storia.”

Un’opera prima che si presenta con una buona confezione, malgrado il basso budget: con una fotografia naturalistica capace di sfruttare al meglio le suggestioni della location, e qualche buona idea di regia (la scena in cui il gruppo scopre di essere intrappolato, alcune interessanti sequenze oniriche).

Il limite di Hybris, tuttavia, sta in una sceneggiatura (opera di Tommaso Arnaldi, anche produttore e attore) confusa e approssimativa; che fallisce nel caratterizzare al meglio i quattro protagonisti, lascia in ombra particolari fondamentali della trama, e tiene inopinatamente in secondo piano quella che dovrebbe essere la figura-cardine, ovvero il giovane defunto. I dialoghi finiscono spesso per strappare risate involontarie, mentre i quattro interpreti (tra i quali sceglieremmo comunque la trentenne Claudia Genolini) non sempre trovano il registro giusto per approcciare al meglio i personaggi. In un’opera che punta tutto sulla narrazione e sullo sviluppo dei caratteri, una scrittura approssimativa è un limite obiettivamente grave: ma va detto comunque che il coraggio mostrato da Maione e Arnaldi (lo Hybris del titolo, termine greco che indica tracotanza, o superbia) è in sé elemento positivo per l’”invisibile” scena del cinema di genere italiano. Sperando che la distribuzione di questo esordio possa essere viatico per la visione in sala di altri, validi prodotti indipendenti, opera di autori da troppo tempo confinati nell’underground.

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