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Cinespresso | April 27, 2024

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“Vizio di forma” e l’anima nera degli anni ’70

Marco Minniti

Review Overview

Cast
9
Regia
9
Script
9

Rating

Il nuovo lavoro di Anderson è un film da non perdere, che illumina, col linguaggio del noir, il momento in cui il sogno sessantottino si dissolse nella follia, nella tossicodipendenza e nel riflusso, contaminato nella sua essenza dal potere. Lo fa con un ordito cinematografico complesso, sovraccaricando la narrazione, dalla quale fuoriesce un ritratto amaro, cinico ma profondamente umano.

Anno: 2014 Distribuzione: Warner Bros Italia Durata: 148′ Genere: Commedia Nazionalità: Usa Regia: Paul Thomas Anderson Uscita: 26 Febbraio 2015

Paul Thomas Anderson dirige un film complesso e dal fascino assoluto, raccontando attraverso il noir un’epoca e la perdita di innocenza di una nazione

Dopo aver esplorato i meccanismi della prevaricazione e della dipendenza umana con The Master, Paul Thomas Anderson amplia i confini della sua ricerca; spostandola, col linguaggio del noir, ad un’epoca e ad una nazione. Lo fa, in questo Vizio di forma, prendendo di petto gli anni ’70, il movimento hippie, il sogno sessantottino che aveva già esaurito il suo potenziale utopico, infrangendosi sui muri di una villa di Beverly Hills, bagnato dal sangue di Sharon Tate.

Protagonista del film di Anderson è il detective privato Larry “Doc” Sportello, ex tossicodipendente, che riceve la visita dell’unica donna da lui amata, Shasta. Questa gli chiede di aiutare l’uomo con cui ha una relazione, il milionario immobiliarista Mickey Wolfmann, a sfuggire alla trappola tesagli dalla moglie e dall’amante di lei, che vogliono farlo internare in manicomio. Doc, che non ha mai smesso di amare Shasta, acconsente ad aiutarla; l’uomo si immerge così sempre più in un universo di personaggi grotteschi, tra centri dentistici usati come copertura per losche attività, fratellanze di colore che si alleano con organizzazioni neonaziste, figlie di industriali rapite (o forse no), sbirri integerrimi e incuranti dei diritti civili; il tutto mescolato e sovrapposto, senza apparente senso, come in una sorta di trip lisergico.

Vizio di forma è un film complesso, stratificato, in cui la forma (quella del parossismo e dell’accumulazione) influenza e determina fortemente il contenuto. L’ispirazione è un romanzo di uno dei più importanti narratori americani contemporanei, Thomas Pynchon; la veste è quella del noir, di una tradizione cinematografica che va da Tourner ad Aldrich fino ad Altman e Polanski, filtrati attraverso la rielaborazione che ne diedero i Coen. La sceneggiatura di Anderson aderisce ai canoni del genere, ne riprende topoi e situazioni-tipo; ma contemporaneamente li destruttura, giocando in continuazione con lo spettatore e la sua capacità di lettura degli eventi, sovraccaricando la narrazione di particolari, personaggi, subplot, in un’accumulazione che tende sempre più al caos e all’anarchia narrativa. Guardare troppo da vicino l’ordito di Anderson significa inevitabilmente perdervisi; ma fare un passo indietro è indispensabile per coglierne l’anima nera, amara, intimamente cinica. Quella del ritratto di un’epoca e di un’umanità, perduta e disillusa.

In tutto ciò, il regista mette in scena la sua storia utilizzando colori sgargianti, quelli della West Coast californiana, optando prevalentemente per un’ambientazione diurna, immergendo gli eventi nelle note di canzoni d’epoca, a sottolineare un clima sottilmente surreale, lisergico. Il tono, sempre improntato al grottesco e all’iperrealismo, si infrange a volte su momenti di inaspettata, cruda violenza; quasi a sottolineare la scissione tra il delirio e la mancanza di senso a cui il potere condanna i protagonisti, e la sua violenta irruzione a ristabilire (pur brutalmente) un ordine.

In questo, il malinconico e perfetto (anti)eroe interpretato da Joaquin Phoenix trova un’ideale nemesi (che è in realtà specchio e complemento) nel poliziotto col volto di Josh Brolin: tutti e due individui guidati, malgrado le apparenze, da una morale che sanno intimamente votata al fallimento; tutti e due profondamente avversi al potere, ma troppo vecchi e disillusi per credere di poterlo sconfiggere. Eppure, malgrado l’amarezza mascherata da trip che li (ci) avvolge, entrambi incapaci di vivere diversamente. Di cedere ai ricatti di colleghi collusi, di non aiutare un padre tornato dal mondo dei morti a incontrare una figlia mai conosciuta, di non perdersi dietro una traccia del passato, riannodando il filo flebile (ma vivo) di un vecchio amore. Perché, sembrano dirci entrambi (e Anderson con loro) avremo anche combattuto la legge, e la legge avrà vinto, ma noi restiamo ancora in giro. Vivi, magari nostro malgrado.

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