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Cinespresso | April 26, 2024

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Tim Burton su una storia vera: “Big Eyes”

Andrea Di Cosmo

Review Overview

Cast
7
Regia
6.5
Script
6.5

Rating

Tim Burton si mette al servizio della storia vera di Walter Keane e sua moglie Margaret con i loro segreti dietro la produzione artistica di enorme successo e l'accanimento della critica. Dirige Amy Adams e Christoph Waltz inscenando i drammi famigliari e portando un po' del suo tocco sognante in un film altrimenti più sobrio e realistico.

Anno: 2014 Durata: 104 Distribuzione: Lucky Red Genere: Biografico Nazionalità: Usa Produzione:The Weinstein Company Regia: Tim Burton Uscita: 1 Gennaio 2015

L’arte e la vita di Walter e Margaret Keane e i loro segreti         

Tim Burton torna al cinema con Big Eyes, in sala dall’1 gennaio, la storia vera avvenuta tra gli anni cinquanta e sessanta in cui si scopre il segreto dietro l’enorme successo del pittore Walter Keane, interpretato da Christoph Waltz, che rivoluzionò il concetto di commercializzazione dell’arte vendendo i suoi ritratti di bambini con grandi occhi tristi, finché viene fuori che i quadri erano in realtà di sua moglie Margaret, interpretata da Amy Adams.

Il regista segue la vicenda di Margaret già da quando si separa dal primo marito, scappando con la figlia, casalinga frustrata che sembra destinata a subire ancora: non ha mai lavorato e la sua emancipazione femminile, considerata anche l’epoca, sembra difficile da raggiungere. Margaret è però un’artista e riesce a lavorare in un mobilificio dipingendo a mano le decorazioni dei mobili.

Quando Margaret incontra il brillante pittore Walter, la sua vita sembra prendere una piega rosea: loro si sposano poi lui dimostra grande abilità nel riuscire a vendere i suoi quadri fino agli estremi di commercializzazione di poster e cartoline che riproducono le opere di Margaret. Il film gestisce bene il prezzo psicologico che Margaret deve subire per questo successo, anche economico, di “famiglia”. Infatti, il marito, per un equivoco iniziale fa credere che i quadri con i bambini dai grandi occhi siano suoi. Egli riesce a convincerla che per vendere i quadri sia meglio così e per anni la moglie accetta di reggere questa montatura, rinunciando alla parte più intima della sua identità d’artista, mentre continua a dipingere di nascosto, anche dalla figlia. Molto interessante è il modo di affrontare il disagio dell’artista che si sente plagiare la sua volontà, accettando la sottrazione del riconoscimento pubblico del suo lavoro, che nel frattempo riscuote un successo sempre maggiore. Dopotutto lei ritiene impossibile smontare una menzogna sempre più grande, con cui la sua famiglia vive agiatamente.

Nel frattempo che la vita e la loro casa aumentano in lusso, il marito Walter diventa sempre più pretenzioso e prepotente, trasformando quella vita in follia e la villa in una prigione, che per Margaret è anche psicologica, finché la situazione precipita

La costruzione di meccanismi psicologici famigliari in cui la verità lascia lo spazio, per anni, a un’ardita e consolidata menzogna di grandi proporzioni, si accompagna, nel film, a un altro tema sempre attuale e dibattuto: la reazione della critica d’arte a quello che fu definito un fenomeno esclusivamente commerciale, dove la vendita e il successo furono ritenuti superiori all’effettivo valore artistico delle opere. Questa posizione è raccolta nel personaggio del critico del New York Times, Canaday, interpretato in modo affascinante da Terence Stamp, che si accanì contro il successo dei Keane, stroncandolo nei suoi articoli.

D’altra parte la commercializzazione di massa dell’arte viene vista, anche dal punto di vista di questo film, come l’unico modo, o comunque il più redditizio, per gli artisti di vivere del proprio lavoro, lasciando dunque un interrogativo finale su cosa sia l’arte e quali siano eventualmente i parametri critici per valutarla.

Cristoph Waltz nel ruolo di Walter Keane è un brillante affabulatore e venditore, abile nel dosare carisma e menzogna fino a emettere gradualmente brama di successo ma poi anche frustrazione e follia, man mano che vengono fuori alcuni suoi segreti. Amy Adams riesce a calarsi e nascondersi nella personalità remissiva di Margaret, finché questa esploderà, dimostrando una bravura da attrice in sottrazione, al servizio del personaggio, pur servendosi di una parrucca bionda che porta anche visivamente l’attrice a incarnare i tardi anni cinquanta.

La fotografia è davvero curata. Basti pensare a una scena alla piscina della villa dei Keane dove Margaret ha invitato un’amica che cerca di metterla in guardia dal marito, motivo per cui Walter non la sopporta.  I tre sono inquadrati mentre celano malamente l’imbarazzo reciproco mentre il tramonto illumina i loro corpi magistralmente in un contrasto tra l’immagine lussureggiante che danno, di apparente benessere e rilassatezza, e i loro veri pensieri.

Il tocco di Tim Burton riesce a introdursi in modo personale pur dovendo rispettare i binari di una storia davvero accaduta, per quanto incredibile. Rinunciando all’apparato fantastico che ha definito lo stile dei suoi film migliori, il regista riesce a dirigere un film più sobrio ma dove è presente comunque un approccio sognante, dove Margaret è un personaggio disagiato che si riscatta, e la sua iconicità visiva si esprime attraverso i grandi occhi dei quadri di Margaret che curiosamente sembrano ricordare le creature del cinema di Burton e la bellezza visiva della costruzione delle scene, qui realistiche ma curate come quadri nei fotogrammi.

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