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Cinespresso | April 26, 2024

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The Babadook

Valentina Zaccagnini

Review Overview

Cast
8
Regia
8
Script
7

Rating

Esordio al lungometraggio per la regista australiana Jennifer Kent che firma l'horror psicologico "The Babadook", l'unico in concorso in questa edizione del Torino Film Festival, che si rivela una piacevole sorpresa. Atmosfere ghiacciate e situazioni davvero ansiogene in cui la protagonista Amelia, giovane madre single, è alle prese con i tormenti del figlioletto, bambino problematico ed emarginato che vede i mostri nell'ombra. E che però ci sono davvero.

Anno: 2014 Durata: 92′ Distribuzione: Kock Media Genere: Horror Nazionalità: Australia Produzione: Causeway Films, Smoking Gun Productions Regia: Jennifer Kent Uscita: Unknow

Dopo vagonate di film su morti in decomposizione che ritornano per mangiarsi i vivi, ecco un horror psicologico che spaventa sul serio e che rielabora in maniera acuta e intelligente il mito dell’Uomo Nero

Amelia è una donna vessata dalla vita: è sola, svolge un lavoro emotivamente devastante, ha gravi problemi economici e suo marito è morto 6 anni prima lasciandole da crescere un figlio insonne, agitato, incapace di legare con i coetanei, violento e fissato con i mostri. L’iperattività del piccolo sta lentamente sgretolando la stabilità della donna sopporta tutto ma non riesce a tornare entro i margini della vita normale di cui ha un disperato bisogno. Una sera il bambino le porta un libro da leggere prima delle nanne: la storia del Babadook. Basta sfogliare poche pagine per comprendere che non è un libro adatto ai bambini e Amelia tenta di disfarsene, ma è troppo tardi. Quando l’Uomo Nero si trova alla tua porta, devi solo lasciarlo entrare perché “Non puoi liberarti di Babadook”.

È un vero piacere vedere come sia ancora possibile declinare alcuni topos della letteratura gotica in chiave psicologica e con una resa originale che scava nel profondo. Perché Kent, col suo “Babadook”, dà corpo ad un’interessante metafora che sembra argomento da rivista femminile, ma è una verità assoluta: covare paura e chiuderla a chiave in cantina contribuisce solo a dare corpo all’oscurità che prima o poi troverà un modo per uscire. La bravura è quella di riuscire a rendere questo con una regia minimale e senza eccessi, con la macchina da presa fissa sull’espressività dei volti che lentamente si svuotano d’umanità, fino al delirio.

Ottima la prova della protagonista Essie Davis che, grazie a un vera trasfigurazione anche fisica, mostra al pubblico la deriva verso la psicosi come non se ne vedevano da anni.

La fotografia fredda e priva di contrasti contribuisce a creare un atmosfera da brivido in una casa che non è nido familiare, ma solo prigione di ricordi e calderone di terrore atavico e mai irrisolto. Menzione speciale per l’uso sapiente e non ingombrante della stop motion una delle cose più terrificanti in assoluto di tutto il film. Poi dopo, a casa, si fatica a prendere sonno. Finalmente.

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