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Cinespresso | April 26, 2024

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Ben Stiller presenta Walter Mitty 1/2

Ben Stiller presenta Walter Mitty 1/2
Lorenzo Colapietro

Per “I sogni segreti di Walter Mitty”, in sala dal prossimo 19 dicembre, abbiamo incontrato presso l’Hotel de Russie di Roma l’attore e regista Ben Stiller che ha svelato alcuni retroscena della pellicola per capire meglio chi è Walter

“Il viaggio di Walter Mitty” è anche, per certi versi, quello di Ben Stiller? Dove voleva arrivare con questa quinta regia?

«Ogni volta che si fa un film si va ad attingere alla situazione in cui stai vivendo, a come sei in quel momento come persona. In un certo senso è stato lo stesso per questo film, ho inserito quello che vivo e provo adesso nella mia vita. E credo comunque di aver avuto la grande opportunità di aver fatto qualcosa di nuovo in questo film, qualcosa che non avevo mai fatto prima: spingersi in terreni non congeniali, ma è questo il modo di riuscire a dare il meglio di sé e dal punto di vista registico è quello che mi ha dato maggior soddisfazione».

Questo film suggerisce “Ben Stiller: il senso della vita”, parafrasando i Monty Paython. È un film poetico dove ha lasciato il grottesco per il surreale. Ci spiega com’è questa nuova visione e se ha avuto paura di avventurarsi nello sconosciuto?

«Sicuramente è stata la sceneggiatura che ha dettato poi lo stile del film, in realtà era quello che provavo e sentivo. La storia di Walter che praticamente passa tutta la vita a guardare le immagini meravigliose di persone che fanno cose straordinarie mentre lui non ha mai fatto nulla di tutto ciò, è stato proprio questo: è l’attenzione che il personaggio dà all’immagine a dettare lo stile visivo del film, e anche il tono visto che questa mia pellicola è meno cinica rispetto ad altre precedenti, sicuramente è molto più aperta a livello di sentimenti. In realtà non è una cosa che ho pensato prima e nemmeno durante la realizzazione, semplicemente sentivo di fare quello che la storia chiedeva di fare, principalmente nel montaggio e nelle proiezioni con il pubblico, a quel punto il film non lo giudicavo più dal numero di risate ma in base alle emozioni che suscitava. Come ho detto in precedenza è stato positivo avventurarsi in territori sconosciuti, dopotutto il lavoro di un regista è anche questo: scoprire posti nuovi e non adagiarsi».

C’è un motivo per cui non è stato dato molto spazio alla foto finale? E come si rapporta con lo sport, specialmente con lo skateboard che abbiamo visto nel film?

«Per quanto riguarda la foto finale l’ho fatta vedere il tempo che ritenevo sufficiente per il pubblico, per poterla vedere e per far capire cosa intendevo. Io sono cresciuto facendo skate a New York City, mi piace molto anche se non sono così bravo come Walter nel film. Fa parte della mia infanzia, la cosa bella è che quest’estate ho iniziato ad insegnare a mia figlia ed è bello questa sorta di passaggio del testimone attraverso lo skate tra due generazioni differenti».

La sua pellicola è una commedia esistenziale che dietro un’apparente leggerezza tratta temi profondi. Una delle tematiche del film sembra essere la difficoltà nell’essere se stessi in questa epoca di mondi paralleli nella quale domina il virtuale.

«Per questo amo venire in Italia, qui la gente riesce a vedere la profondità di alcuni temi dietro la facciata di commedia. Per me uno dei temi è quello di cercare di creare un legame, stabilire una connessione con gli altri e anche con se stessi, perché questo sognare ad occhi aperti che Walter fa spesso è importante per lui, gli serve per poter andare avanti gli consente di continuare a vivere nella routine quotidiana, ma al tempo stesso gli impedisce di creare questo rapporto con gli altri, e nel mondo di oggi è un problema attuale vista la presenza del virtuale che ci distrae rendendo molto più difficile avere una vera e propria interazione; Walter sembra essersi ritirato ma attenzione non è un introverso semplicemente è una persona normale che cerca di trovare una sua collocazione nel mondo».

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