Antonio Rezza “colpisce” il pubblico…
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6Al Roma Fringe Festival 2016, fuori concorso , “IO” di Rezza – Mastrella
Lunga fila al botteghino di Villa Ada per il Fringe Festival che, come ospite fuori concorso, accoglie il duo artistico Rezza/Mastrella. Lo spettacolo “IO”, come si legge dai credits “con Antonio Rezza, quadri di scena Flavia Mastrella, (mai) scritto da Antonio Rezza, assistente alla creazione Massimo Camilli, disegno luci Maria Pastore e consulente tecnico Mattia Vigo”, è preceduto dalla proiezione del film “Troppolitani fuori dove?”.
Il lungometraggio, che valse loro il Premio Speciale Ubu 2013 “per il lucido percorso di scavo nella crudeltà ottenuto attraverso il genio sfrenato di un attore e l’intuito plastico di un’artista visiva originale”, diverte, stupisce e fa riflettere la platea della verde villa capitolina.
In uno stretto dialetto del sud Italia qualcuno di importante diceva: “a cap è na cos delicat” nel senso che bisogna stare molto attenti perché la mente non prenda pericolose derive: basta un attimo, ovunque. E Rezza sembra davvero interessato alla mancanza di adattamento nel tempo e nello spazio tanto che, agli astanti non poco coinvolti dalla giornata dedicata alla salute mentale nella milanese piazza Mercanti, la prima domanda seriamente posta, è: “quali sono i tempi tecnici per impazzire?” oppure “perché si registra una dilagante ambizione a divenire folli?”.
La conversazione che ne scaturisce è esilarante, tuttavia Rezza, attraverso un’abile capacità di interloquire con gli stolti, “intelligentizza” la follia, spinge ad abbandonare il mero giudizio per contemplare, invece, un autentico dialogo sulla “normalità errata”. Finita la proiezione ecco salire sul palco lui, Antonio Rezza ora in carne e ossa (più ossa che carne) per dare inizio all’ormai maggiorenne spettacolo “IO”.
Nel consueto dispositivo collaudato dalla trentennale coppia artistica Rezzamastrella, l’artista anzi, il performer, come ama definirsi, agisce nell’habitat per lui creato, fatto di stoffe colorate appese come gogne a delle guide metalliche. Usa il suo viso sgradevole come fosse plastilina, la sua voce acuta e stridula per meglio gracchiare, il suo corpo così magro da sembrare solo ossa pitturate di color carne, come arma fluttuante per padroneggiare lo spazio.
Strumenti inconfondibili della sua espressione artistica in cui, qualsiasi idea di narrazione, è rimpiazzata dall’accostamento di intervalli volutamente ordinati in maniera disconnessa. Non esistono personaggi veri e propri o storie raccontate, il piegatore di lenzora, “io” figlio di “noi”, la studentessa mnemonica e il radiologo molesto, sono protagonisti di un procedimento di astrazione che sottolinea la sfida tra chi esercita il potere e chi ostinatamente lo subisce. 65 chili, per 1,80 d’altezza, ossessionato dalla integrità del proprio corpo rivolta all’idea della sua arte, per sua stessa ammissione, costruita su “un’autosopravvalutazione che deve essere patologica”, Antonio Rezza in “IO”, fasciato da una calzamaglia rossa lucida, è fiero padrone dei suoi movimenti mentre costruisce invettive contro bambini, anziani e augura la morte “a chiunque beva birra stasera”.
Scattante e mai impreparato di fronte a episodi contingenti: l’aereo che passa, il disturbatore (chissà perché spesso presente durante i suoi spettacoli), la stoffa che si stacca dalla struttura metallica. Le energie più potenti le riserva alla fine dello spettacolo, durante gli applausi, quando si congeda dicendo: “di sputare, ho sputato. I contenuti erano tutti lì”.
Sull’atto di sputare se ne potrebbero dire molte: da Dante era considerata una facoltà tipica dell’uomo, così come il parlare, negata invece agli animali; nel mondo fetish, “lo spitting” è una pratica in cui il partner dominante sottolinea il suo potere nei confronti dell’altro. Ma il nostro, forse, lo fa per salvarci, perché anticamente si riteneva lo sputo un antidoto contro il veleno? E’ forse un gesto apotropaico? Forse si, visto che in un’accorata esortazione finale, ci invita a diffidare da chiunque “ci lecchi il culo”.
Grazie
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