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Cinespresso | April 26, 2024

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Un “guru” effimero spiega “Le leggi del desiderio”

Marco Minniti

Review Overview

Cast
5.5
Regia
5
Script
4.5

Rating

Se poteva incuriosire il ritorno di Silvio Muccino, come regista e interprete, con un personaggio originale e fuori da quelli che finora sono stati i suoi schemi attoriali, il risultato delude: malgrado una certa vivacità di messa in scena, il film è narrativamente carente, strappa sorrisi effimeri e non entra mai, realmente, nel vissuto dei suoi personaggi (a cominciare dallo stesso protagonista).

Anno: 2015 Distribuzione: Medusa Durata: 105′ Genere: Commedia Nazionalità: Italia Regia: Silvio Muccino Uscita: 26 Febbraio 2015

Silvio Muccino torna al cinema con una commedia che affronta il tema dei trainer motivazionali: ma il risultato è narrativamente carente, e poco coinvolgente

Giovanni Canton è un trainer motivazionale: una di quelle figure, importate dall’America, che garantiscono a coloro che seguono le loro indicazioni la realizzazione dei propri desideri, utilizzando precise tecniche fisiche e psicologiche. Uomo del momento, sempre sui giornali e sugli schermi televisivi, Canton vuole convincere gli scettici della validità delle sue teorie: per far questo, organizza un “concorso” televisivo in cui verranno selezionate tre persone, che esprimeranno i loro desideri e verranno da lui guidate alla realizzazione degli stessi. Sei mesi dopo, i tre (un’impiegata single innamorata del suo capo, un uomo di mezza età da poco licenziato, una dipendente vaticana che scrive segretamente romanzi erotici) torneranno in televisione per la verifica dei risultati ottenuti. Com’è facile immaginare, i risultati dell’azione di Canton non saranno esattamente quelli sperati.

Cinque anni dopo la sua ultima regia (Un altro mondo, risalente al 2010) Silvio Muccino torna al cinema con questo Le leggi del desiderio. Una lunga pausa che lo stesso Muccino ha giustificato con la necessità di riflettere, di cambiare corso e di trovare una storia che gli si confacesse:

“Dopo Un altro mondo, sentivo il bisogno di cambiare, di tornare con una storia diversa e di mettermi in gioco. A volte è importante anche trovare i giusti compagni di squadra”

La “storia diversa” è stavolta una commedia, che va a esplorare un tema senz’altro interessante (e poco battuto), permettendo tra l’altro al giovane Muccino di esporsi come non mai anche come interprete.

Chi scrive, in questo, vuole subito sgombrare il campo da dubbi o malintesi: benché la recitazione di Silvio Muccino abbia subito un’indiscussa evoluzione, nel corso del suo quindicennio di carriera, non era probabilmente questo il ruolo più adatto per il rilancio (e il rinnovamento) della sua figura attoriale. Nel suo volto, c’è ancora troppo (specie a livello di attitudine) dell’ingenuo ragazzino di Come te nessuno mai per risultare davvero credibile nel ruolo del “guru”. La sceneggiatura finisce per trascurare oltremodo proprio l’approfondimento del protagonista: fisicamente sempre presente, il Canton di Muccino ha una consistenza narrativa molto, troppo esile. Se, come ha detto lo stesso attore/regista, la figura del trainer motivazionale ha in sé una certa complessità, e se è vero che “è ingiusto condannare queste persone, che hanno comunque qualcosa da dire, ed è altrettanto ingiusto farne un monumento”, è proprio questa complessità, e queste zone d’ombra, a mancare in modo evidente dal suo personaggio.

Muccino mette in scena il suo film in modo vivace, con soluzioni visive che a tratti ricordano il cinema del fratello; ma, come per quest’ultimo, raramente a tanta vivacità corrisponde una uguale consistenza di contenuti. Lo script segue separatamente le vicende dei tre “allievi” (tra i quali la nostra preferenza va a un simpatico Maurizio Mattioli) dando vita a momenti di divertimento effimero; per poi concentrarsi su una love story dalle basi piuttosto traballanti, quella tra il protagonista e il personaggio di Nicole Grimaudo. È proprio quando sceglie di essere una commedia romantica, e di descrivere l’evoluzione di due personaggi che cercano e trovano se stessi, che Le leggi del desiderio svela la sua reale natura: ma, insieme ad essa, svela anche tutti i suoi limiti, nel passaggio da una dimensione (blandamente) di costume ad una più privata ed intima. Il racconto e la descrizione di quest’ultima non convincono, principalmente per la scrittura superficiale e approssimativa dei suoi due terminali.

Di Le leggi del desiderio, così, alla fine resta poco: forse, solo la riflessione su un fenomeno d’importazione come quello descritto dal film, e la consapevolezza (che potrebbe colpire) di quanto questo sia già penetrato nella realtà del nostro paese.

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