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Cinespresso | April 26, 2024

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L’amarezza della Dolce Vita

L’amarezza della Dolce Vita
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
9
Regia
8.5
Script
9

Rating

Oltre mezzo secolo e il film resta una scoperta in divenire, implacabile, diritta seppur scolpita d'anime vaghe e svaganti, pungente e moralista nella sua splendida incoscienza d’essere un capolavoro.

Anno: 1960 Durata: 174’ Distribuzione: Cineriz Genere: Drammatico Nazionalità: Italia, Francia Produzione: Riama Film, Pathé Consortium Cinéma Regia: Federico Fellini Uscita: 3 febbraio 1960

A 54 anni dall’uscita in sala rispolveriamo uno dei film più incisivi della storia del cinema. Indimenticabile, gigionescamente satirico, lucidamente dissacratorio, conturbante testimone di un’epoca, ispirazione di tantissimo cinema italiano e internazionale, La dolce vita di Federico Fellini è tutto questo e molto altro

Questa Roma del Boom è rappresentata nei suoi palazzoni nascenti in periferia, nei picchi architettonici vaticani, in ville alto borghesi e tra la brulicante vita notturna di Via Veneto. Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) è un giornalista scandalistico, oggi si direbbe di gossip. Vaga nella pancia della città. Molte avventure le sue, tra belle donne ai suoi piedi, fotografi invadenti, ricchi snob e intellettuali annoiati. Il suo obiettivo è ultimare il suo primo romanzo. Ma la passione per la letteratura è sempre superata dal mescolarsi ai vizi e all’edonismo che impregnano il suo ambiente.

“Scoprendo una magnifica dentatura, la bellissima Sylvia dà un morso al tipico e gustoso prodotto italiano, è vero, che nei suoi vivaci colori e nel suo profumo sembra riassumere la gioia di vivere del nostro Paese… Ciao Marce’, bella bisteccona, eh?”

Anita Ekberg è la diva svedese che dalle scalette del suo volo viene omaggiata con una sontuosa pizza napoletana al racconto radiofonico del cronista d’assalto, e sotto gli occhi di Marcello. I personaggi di questo film sono come figure circensi. E le musiche di Nino Rota ne sviluppano  una vera e propria vita emozionale parallela. I loro numeri terminano alle dissolvenze su nero, e il girovagare del protagonista sembra un infinito cammino tra lusso e miserie umane. C’è la scena avvolta ormai nel mito della Fontana di Trevi con Sylvia. Forte sì per la bellezza, ma la pellicola è parimenti impietosa con tagli su un’umanità più brulla come nell’affitto della cameretta umida di una prostituta in borgata per appartarsi con originalità insieme all’elegante e sfaccendata figlia di un magnate, Maddalena (Anouk Aimée). O nelle sfuriate con Emma, l’amante compagna mai completamente accettata (Yvonne Furneaux). I due bambini che vedono la Madonna, invece, circondati da una platea affamata di miracoli e in preda a pagano voyerismo, se ne beffano portandosi dietro la folla da un sito all’altro dove la Madonna ora compare e adesso scompare. Annoiati discorsi sulle donne orientali, sul sesso e sulla vita in salotti bene con intellettuali retti e impeccabili pronti a compiere orribili misfatti; feste orgiastiche; inseguimenti con i flash sempre carichi per immortalare un bacio o uno schiaffo; una seduta spiritica a termine di una misteriosa fiaccolata, sono solo alcune delle situazioni delle quali Marcello è testimone. Passivo, forse riflessivo, ma poco coraggioso. Languido e indolente.

– Vorrei vivere in una città nuova e non incontrare più nessuno.

– A me invece Roma piace moltissimo. È una specie di giungla. Tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene

Il suo nascondersi nel tourbillon della capitale lo distanzia dagli affetti. Dal padre stesso, interpretato da Annibale Ninchi, venuto per una visita a sorpresa. Da Emma, la donna che potrebbe offrirgli una stabilità familiare, e anche dalla candida Paola (Valeria Ciangottini), giovane cameriera e lolita positiva e solare che per pochi istanti rasserena il tormentato antieroe di Mastroianni. Federico Fellini gli cuce attorno una Roma tutta in crescita edilizia. Tanti cantieri, l’Eur a spiccare con le sue linee razionaliste, ma soprattutto la zona di Don Bosco, vicino Cinecittà, e Tor de’ Schiavi, una continua sfida dello sguardo a ciò che di nuovo infrange l’immortalità museale di Roma. La cinepresa conficca speranze e ottimismo anni sessanta con i palazzoni direttamente nell’occhio dello spettatore. Ma l’apparato umano che ne popola gli spazi è caotico e in preda a un proprio vuoto. La sostanza che allontana Marcello anche da sé e dai mondi che attraversa.

E le parole di Ennio FlaianoTullio Pinelli, Brunello Rondi e Pier Paolo Pasolini armano di sostanza anche le battute più secondarie. Un’architettura di idee srotolate nel viaggio emblematico di un attempato, affascinante e carismatico Pinocchio, che se per sapere quando i Principi di turno cenano con lumache e Valpolicella corrompe camerieri con i denari, da artisti conniventi nel Campo dei Miracoli di un festino ne ottiene sfacciatamente molti di più.

– Se invece di 250 ti dessi 300 mila al mese, che scriveresti di me?

– Che sei Marlon Brando

– E se ti dessi 400 mila?

– Che  sei John Barrymore

– E un milione?

– Dammi il milione. Poi te lo dico

Se questo scambio tra Mastroianni e un attore in ascesa che compra gli articoli al suo Marcello è una delle messe in scena della superficialità consumista ai suoi albori, la poesia felliniana sta in alcuni silenzi, in momenti di sguardi e respiri dove a essere catturata è l’anima degli attori stessi. Come per la camera dei segreti. Ma non solo. Tutto è interstiziale, apparentemente sospeso dal giudizio, giocoso nella tragedia e tragico nell’opulenza, profondamente amaro nella sua dolcezza. La dolce vita è un vortice di ombre sorridenti e disdicevoli. Oltre mezzo secolo e il film resta una scoperta in divenire, implacabile, diritta seppur scolpita d’anime vaghe e svaganti, pungente e moralista nella sua splendida incoscienza d’essere un capolavoro.

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