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Cinespresso | April 26, 2024

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Infanticidio e redenzione: “Sorrow and joy”

Infanticidio e redenzione: “Sorrow and joy”
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
6.5
Regia
6.5
Script
6.5

Rating

Tragedia familiare senza scenate, scandinava nella forma e nella sostanza. Buon film, ma argomento pesante e spinoso, quindi impossibilitato a essere "bello". Malmros racconta il tutto attraverso un lavoro sul caso quasi clinico per la sua pulizia, psicanalitico.

Anno: 2013 Durata: 107′ Distribuzione: Unknown Genere: Drammatico Nazionalità: Danimarca Produzione: Nordisk Film Production, TV2 Denmark, Radiator Film Regia: Nils Malmros Uscita: Unknown

Il film scioccante del Festival del Film di Roma viene dalla Danimarca: la storia di una madre che uccide la figlia neonata e del marito incredulo

Il plot viene da episodi di vita vissuta del regista Nils Malmros. Vita vissuta dentro vita vissuta, anche Johannes (Jakob Cedergren) è un regista danese che infila nei suoi film fatti e situazioni che sono scorse in qualche modo nella sua vita, rielaborandole. La moglie Signe, un’allucinata, instabile e raggelante Helle Fagralid, smetta di prendere il litio – sostanza necessaria al suo equilibrio – ma dopo la nascita della bambina, le manie di persecuzione torneranno a bruciarne l’animo, fino ad tagliare la gola alla figlia nell’apice de suo malessere.

Tragedia familiare senza scenate, scandinava nella forma e nella sostanza, se fosse stata girata da mani italiane e nello Stivale sarebbe stata uno show d’impennate e picchiate emotive più o meno eccessive, giornalisti invadenti e chissà quale altra diavoleria. Malmros invece racconta il tutto tra rassicuranti interiors, giardini curati, set intimi di adolescenti e personaggi morigerati, per arrivare al racconto attraverso un lavoro sul caso quasi clinico per la sua pulizia, psicanalitico.

“Un’amica mi ha consigliato di aggiungere olio d’oliva al riso. Ma non sono d’accordo”

È la frase della madre di Signe durante una cena di parenti. Ma siamo ancora antecedenti alla tragedia. L’indagine sui personaggi, il vero elemento prezioso del film, non sta tanto nell’analisi seguita da Johannes, ma in piccoli sottotesti, tra i quali quelli che proprio l’analista di Nicolas Bro produce. Come il tintinnare un coltello da colazione su un piatto durante l’ascolto del paziente, venendo ripreso da quest’ultimo, infastidito. Altri bei sottotesti sono nel rapporto platonico ma pieno di passione con la sua giovanissima attrice Iben, una talentuosa lolita con un debole per il suo mentore. Maja Dybboe, alla sua prima apparizione sul grande schermo offre un’interpretazione di tutto rispetto. Al contempo fresca e matura. Felicemente padrona di note interpretative sottilissime dettate dal regista.

Buon film, ma argomento pesante e spinoso, quindi impossibilitato a essere “bello”. Probabilmente la pellicola più personale dell’autore scandinavo tra i più importanti del cinema danese, Malmros ha confessato: «Con questo nuovo film voglio raccontare di come costruire un amore corrisposto e maturo attraverso un immenso dolore e gioia. Forse potrebbe sembrare esagerato, ma so certamente che le mie parole sono legittime». A prescindere da questa affermazione, il film tiene. La sua forma algida di cinemanuale di psichiatria infanticida funziona. Sia esteticamente che per le interpretazioni. Unico neo forse, il distacco di  Johannes/Jakob Cedergren, comunque sospeso tra cultura, psicosomatica e prossemica profondamente diverse da quelle italiane, e un’interpretazione forse un po’ distante dell’attore.

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