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Cinespresso | April 27, 2024

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Intervista con Giuseppe Tornatore

Intervista con Giuseppe Tornatore
Francesco Di Brigida

La migliore offerta è soltanto il suo ultimo successo, di critica e box office. Il regista siciliano premio Oscar con Nuovo Cinema Paradiso ci ha parlato di arte e genesi di un film.

Lo incontriamo prima della consegna di un premio, l’ultimo di una lunga serie conquistata stregando il suo pubblico. Giuseppe Tornatore è un uomo piccolo ma di corporatura solida. Garbato e gentile come potrebbe essere un personaggio positivo di Andrea Camilleri, fuori dalla barba, che ne copre il viso, esce lo sguardo pieno di energia e ironica curiosità verso il mondo di chi forse ha visto tanto cinema, quanto ne ha immaginato.

Tra le opere che compaiono nella Migliore Offerta ci sono autori come Tiziano, Renoir, Rubens e Raffaello. Tutte risalenti a un periodo tra il XV e il XX secolo. Chi le predilige veramente, il protagonista o il suo autore?

«Potrei dire qualunque cosa e andrebbe bene. La verità è che sono le opere che sono riuscito a ottenere, nei limiti di un percorso che avevo stabilito. Dovevano esserci delle opere importanti, altre importantissime, e altre meno note. Però bisognava ottenere i permessi, le autorizzazioni. I diritti insomma. La ricerca è stata molto complessa e alla fine l’equilibrio è stato questo».

Migliaia di pagine sono state scritte sul concetto di riproducibilità dell’arte, e sulla sua unicità, che se riproposta diventa Pop. Così grandi film stanno diventando serie tv, anche in forma di prequel. Ad esempio Psycho che viene rielaborato in Bates Motel, o Il silenzio degli innocenti in Hannibal. Secondo lei questi nuovi approcci a film immortali che cosa possono dare o togliere al cinema?

«Non danno e non tolgono nulla. Danno solo talvolta l’illusione ai produttori e ai distributori di duplicare il successo del prototipo. E in alcuni casi ci riescono. Anzi, in altri addirittura lo superano. Ma in genere non è che funzioni tanto. Psycho rimane Psycho. Si possono fare tutti i sequel e i prequel che si vogliono, ma quello rimane il punto di partenza».

Dei suoi film è autore di soggetto, sceneggiatura e regia. Dall’impegno del Camorrista a Una pura formalità, poi la crudezza della Sconosciuta, e dai racconti sulla sua Sicilia fino alla Migliore offerta. Come si svolge il processo creativo intorno a un’idea?

«Ogni film nasce in modo diverso, in genere. Il metodo che lega un po’ tutti i miei film è basato su una lunga incubazione dell’idea. Gli spunti che mi vengono e che mi piacciono, di solito non li metto immediatamente in cantiere. Amo portarmeli dietro per molto tempo. Talvolta anche per molti anni. Poi succede che maturano diventando dei progetti che mi convincono. In altri casi i progetti non ce la fanno e rimangono lì. Però quando mi viene un’idea che mi sembra interessante, l’ultima cosa che faccio è di mettermi a scrivere. Lo faccio soltanto molto tempo dopo, quando mi convinco che la storia mi comunica qualcosa, mi torna spesso in testa, e quindi diventa una presenza della quale non posso fare a meno».

Leningrad era il progetto in incubazione da tanto. Adesso però c’è qualcos’altro all’orizzonte?

«Non lo dico mai. Difatti di Leningrad avevo parlato, e ha difficoltà a partire. Se non l’avessi fatto sarebbe andata diversamente».

Nelle sue storie ci ha parlato di musica, arte, bellezza. E di cinema. Però non ci ha mai parlato di cucina, di gusto.

«Non ci ho mai pensato, è vero. Non ho mai avuto idee che riguardano questo tipo di argomento, ma non lo escludo. Il cinema del resto ha molta fantasia».

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