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Cinespresso | April 26, 2024

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Il Futuro, la recensione

Il Futuro, la recensione
Alina Laura De Luca

Review Overview

Cast
6.5
Regia
6.5
Script
6

Rating

Un film tratto da un romanzo breve di Bolaño del 2002, ma che diviene estremamente attuale attraverso gli occhi della regista cilena.

L’ex-divo delle commedie adolescenziali produce ed interpreta, al fianco di uno straordinario Rutger Hauer, un noir insinuante diretto dalla cilena Alicia Scherson

«Ormai sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente». Così ha inizio il breve, folgorante racconto dell’adolescenza di Bianca, uno dei personaggi usciti dalla penna di Roberto Bolaño, lo scrittore cileno autore del racconto “Un romanzetto Lumpen” al quale il film s’ispira. Come nelle pagine del libro così nella pellicola la narrazione è filtrata attraverso lo sguardo, a tratti allucinato, di Bianca che osserva quasi dall’esterno il caos della sua vita che esplode.
Rimasti orfani dei genitori, lei (Manuela Martelli) e suo fratello Tomàs (Luigi Ciardo) scivolano a poco a poco in un’esistenza di ottusa marginalità: cambiano gli orari, la scuola viene lasciata progressivamente come un orpello del quale non si ha più necessità, si trovano dei lavoretti per integrare il magro assegno di reversibilità del padre. Poi, nell’appartamento in cui vivono rinchiusi, fanno il loro ingresso due strani tipi incontrati dal fratello stesso in palestra, dove lavora come inserviente: un bolognese loquace (Alessandro Giallocosta) e un libico taciturno (Nicolas Vaporidis) che, gentili e puliti in maniera sorprendente per chi conduce una vita di luogo in luogo, occuperanno la camera dei genitori dei due orfani, di tanto in tanto dividendo il letto con Bianca che non si cura nemmeno, quando decide di aprire la porta, se sia l’uno o l’altro.
Tutto pare rotolare lentamente verso uno strano equilibrio tra normalità e squallore fino alla comparsa del “piano” che prevede per Bianca un ruolo da protagonista. Dovrà introdursi in casa di “Maciste” (Rutger Hauer), un attempato culturista divenuto cieco in seguito a un incidente, già due volte Mister Universo e protagonista di film di successo mondiale nei quali ha vestito i panni del mitologico eroe. Con questo strano cliente, capace di attrarla e respingerla al tempo stesso, Bianca vivrà una relazione che, nata sotto il segno della prostituzione e dell’inganno, segnerà per lei la svolta. Perché l’esistenza, a volte, assume percorsi non consueti e a portare alla salvezza sono proprio gli incontri che sembrano segnare un arretramento, un peggioramento, uno scivolamento verso il buio.
Così, quella che a prima vista sembra essere una storia per ragazzi si carica di tinte apocalittiche e noir che la regista, Alicia Scherson (vincitrice del premio per la migliore regia al Tribeca Film Festival con la sua opera prima Play), riesce a evocare nel fluire lento delle scene, una lentezza necessaria per materializzare i frantumi di una vita inizialmente normale, ma che d’improvviso prende una fisionomia diversa, si sfalda e si strappa nel procedere insieme oscuro e allucinato, in quanto letteralmente inondato di luce, quasi che tra notte e giorno, tra buio e lucentezza accecante non ci sia differenza né soluzione di continuità. Solo nel finale, dopo gli ultimi avvenimenti, traspare uno spiraglio di luce: quella vera, quella del giorno, non più quella della notte. Quella dell’avvenire, della speranza.
Il chiaroscuro del percorso di crescita intimamente vissuto dalla protagonista, quel passaggio dal nichilismo esistenziale, che proietta il futuro come qualcosa di minaccioso e offensivo, fino alla catarsi finale, quando le parole «futuro» e «cambiare» si caricano di senso, si riverbera nella contestualizzazione della vicenda nelle periferie di Roma, luogo naturale del racconto di Bolaño. Scorci di una città che, attraverso gli occhi della regista cilena, appare nuova persino a chi, come Vaporidis, è cresciuto in essa; tra realtà, esotismo ed estraneità si scorgono note e suggestioni europee e non prettamente romane, com’era, di fatto, nelle intenzioni di Alicia che ha voluto concepire «un film sull’Europa moderna, caotica e apocalittica, vista dagli occhi di una famiglia di immigranti che al momento del bisogno non hanno nessuno su cui contare».

Alle spalle del film una collaborazione internazionale, la prima, tra Italia e Cile che, grazie anche ai produttori e al cast di successo, ha guadagnato alla pellicola il plauso commosso della vedova di Bolaño e il premio della critica al Rotterdam International Film Festival. Il film ha concorso al Sundance Film Festival ed è stato già presentato in oltre venti festival internazionali, ottenendo un successo di pubblico e critiche. L’augurio è che la strada sia sempre meno impervia per produzioni indipendenti come questa e che il dialogo internazionale sia sempre più una fonte provvida di brillanti cooperazioni cinematografiche.

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