Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Cinespresso | April 26, 2024

Scroll to top

Top

No Comments

Intervista con Luigi Lo Cascio

Intervista con Luigi Lo Cascio
Francesco Di Brigida

La città ideale, film sulla verità e il pregiudizio verso un onesto architetto ambientalista, ambientato a Siena, e nei cinema da aprile, è la sua prima regia.

Ha lavorato dietro la macchina da presa, ma anche da protagonista e sceneggiatore nella sua opera prima La città ideale, Luigi Lo Cascio. Lo abbiamo incontrato nella hall di un albergo, prima della consegna del Pegaso d’Oro per la kermesse del Premio Flaiano.

Qual è stata l’intuizione alla base del tuo primo film? Perché lo hai scritto, girato e interpretato. Insomma è un lavoro completo.

«È difficile recuperare il primo momento, perché sicuramente la cosa non parte dal desiderio di fare una regia. Tutto è iniziato da un lavoro di scrittura. È soltanto a un certo momento di quel lavoro che ho pensato che potessi farne io la regia. Peraltro ho già scritto pezzi per il teatro, ma qui in realtà non c’era neanche un tema. All’inizio c’era soltanto un’immagine: una notte di pioggia. Forse la prima volta che ho pensato a questo film è stato in una sera in cui ero impelagato in mezzo al traffico. Era una notte di pioggia molto forte, e così ho avuto le prime intuizioni, le prime apparizioni, fino all’idea del malinteso. C’è un uomo che si ferma con la sua auto a soccorrere una persona, ma viene accusato di averla uccisa. Intorno a tutto questo la scrittura ha cominciato poi a fare delle scelte. E una di queste è stata di trattare il tema della parola sbagliata al momento sbagliato, che può rovinarci la vita, e poi le parole della verità. In base poi a queste cose che si sono mostrate a poco a poco, quella che era all’inizio soltanto una direzione, un’immagine, un’intuizione, ha avuto il suo svolgimento in questa sceneggiatura».

Da attore invece dove sei andato a prendere il tuo personaggio? Come lo hai plasmato?

«Quando l’ho scritto non pensavo a me come attore, come invece per altri personaggi come quello di mia madre, che è mia madre anche nella vita, o il personaggio dell’avvocato Scalici interpretato da Luigi Maria Burruano. Mentre scrivevo già pensavo a loro come attori, invece per il protagonista, Michele non pensavo a me. Mi ero concentrato sulla scrittura di un personaggio staccato dalle mie caratteristiche d’attore. Poi Angelo Barbagallo, il produttore del film, ha letto la sceneggiatura mi ha detto: “Secondo me devi farlo tu, perché il film diventa più personale. Nel momento in cui tu ne sarai anche attore, ci sarai anche come presenza fisica. Lo renderà più tuo”. A quel punto ho cercato di farlo come sempre, quando faccio l’attore. In questo caso, avendolo scritto, mi erano già chiari la genesi e gli studi che si fanno intorno a un personaggio. Chi è questa persona, da dove viene… Poi però ho cercato di fare l’attore per un testo scritto da me, e per un regista esigente».

Nella regia ci sono anche alcuni spunti visivi che sono molto forti. I dipinti dell’inquilina pittrice, ma anche quel lancio a catena di pacchi di pratiche. Sono una sorta di metafore, geometrie del tuo cinema. Che cosa ci hai visto?

«Una volta che è stata costruita, la metafora deve svolgere la sua funzione all’interno del film. È difficile, e forse neanche molto corretto esplicitarla, spiegarla. Bisogna lasciarla lì, soprattutto per un film che è uscito da poco. Magari tra dieci o quindici anni, quando ormai non se lo ricorderà più nessuno, potrò provare a riparlarne. Il punto è che la stessa cosa detta in parole si depotenzia, diventa meno importante. Se tu scrivi: “Ci sono dei faldoni che ruotano”, e poi lo vedi, ci sono un certo impatto e un certo effetto. Soprattutto in quel punto particolare del film in cui è messo tra la scena che lo precede e quella che segue, la cesura finale. Sono stato sicuramente avvantaggiato dal fatto che la fotografia è stata curata da Pasquale Mari. Con lui avevo già lavorato insieme in Buongiorno notte. Mentre i disegni sono di un mio amico che si chiama Nicola Console. Con lui ho lavorato anche a teatro, su Kafka. Mi piace molto il suo mondo di segni. Ed è stato molto bello trasportare al cinema il suo universo iconografico».

Il tuo personaggio è maniacale sul risparmio energetico. Profili del genere non hanno, di solito, abitudini alimentari altrettanto estreme? Magari sono vegetariani, o vegani.

«Non c’è in realtà la ricerca del cliché dell’ecologista a tutti i costi. È una pratica dove ognuno sceglie la sua specificità. C’è chi si preocupa di diminuire i consumi. Ci sono gli ecologisti profondi che criticano quelli che chiamano ecolologisti di superficie. Per un ecologista profondo è assurdo parlare di ambiente. Non esiste come non esiste l’ambientalismo. Esistono gli ecosistemi. Anche all’interno dell’ecologismo ci sono tutta una serie di sfaccettature. Il discorso alimentare riguarda secondo me più una sfera di rapporto con sé stessi, di rapporto filosofico, religioso, che non è detto che debba per forza concatenarsi con l’ecologismo».

Submit a Comment