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Cinespresso | March 28, 2024

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Fibre Parallele al Teatro India con “Orgia”.

Fibre Parallele al Teatro India con “Orgia”.
Miriam Larocca

Review Overview

Interpretazione
6.5
Regia
7
Drammaturgia
6

Rating

Nella tragedia scritta in versi da Pasolini, la storia si sviluppa in sei brevi episodi ambientati nella camera da letto dell’Uomo e della Donna, coniugi di mezza età appartenenti alla ricca borghesia cittadina. I primi due atti si svolgono durante la notte di Pasqua: la coppia si prepara a consumare un rapporto di estremo sadomasochismo. L’Uomo è carnefice ma nello stesso tempo è sfruttato dalla Donna che accetta ogni violenza con felicità ed obbedienza, complice del proprio sfruttamento. Si tratta di un rito che rivela la vera natura dei rapporti sociali, attraverso di esso entrambi scoprono come la violenza dei rapporti di potere sorregge ogni realtà sociale. Incapace di ripristinare una inconsapevole e tacita obbedienza al potere, la Donna si suicida. L'Uomo ripropone lo stesso rito, senza però riuscirci, ad una prostituta. Rimasto solo si ribella alla sfera del potere e rivendica la propria diversità vestendosi da donna. Ma la scissione dei due ruoli, l'Autorità, il Potere, il Padre da una parte e la sua diversità dall'altra, porta anche lui al suicidio. Si impicca dopo il monologo finale, rivolto direttamente agli spettatori.

«Orgia – rispondeva così Pasolini, nel 1968 – è il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il rapporto tra diversità e storia. La tragedia di chi non sa stare al mondo».

Impresa ardua e commissione impegnativa, quella che ha visto Licia Lanera prendere in carico la messa in scena della prima opera teatrale scritta da Pier Paolo Pasolini. La cofondatrice della compagnia Fibre Parallele, è regista e interprete di “Orgia”, al Teatro India di Roma.

Nell’ambito della rassegna “Garofano Verde”, su invito di Rodolfo di Giammarco, nasce nel 2015 un primo studio che ha poi, evidentemente, avvertito l’esigenza di tramutarsi in qualcosa di più definito e completo. All’artista pugliese  va dato senz’altro il merito di aver gestito il tempo e lo spazio con cura, “i settantacinque minuti trascorsi non sono sembrati settantacinque ore”, ha sussurrato qualcuno all’uscita. È questo uno dei rischi di cui bisogna tenere conto, quando si affronta un testo teatrale del nostro PPP. Parole Parole Parole. Un teatro che sfiora l’irrapresentabilità, un modo di operare cristallizzato nel suo  “Manifesto per un nuovo Teatro” del 1969, in cui l’intelletuale bolognese teorizzò il Teatro di Parola insieme antico e innovatore, dichiaratamente elitario e proprio per questo paradossalmente democratico. Pasolini, a un certo punto, al teatro rinuncerà…

Si è di fronte alla prolissa sovrabbondanza di parole che pagano il dazio di non tramutarsi facilmente in azioni scenicamente compiute, quasi fossero urla in cerca di una bocca. Allo spettatore si richiede uno sforzo non indifferente, una passione che Pasolini stesso suggerisce: “Vi prego, siate come quei soldati, i più giovani di quei soldati, che sono entrati per primi oltre il reticolato di un lager… E lì i loro occhi… Ah, vi prego, siate giovani come loro! … Ecco tutto. E, ora, divertitevi”.

Ma anche lo sforzo richiesto a chi decide di portare in scena questo lavoro, non è da poco. È curioso scoprire che, tra i vari significati del termine orgia, oltre al famigerato ritrovo di più persone caratterizzato da episodi di viziosa sfrenatezza, pare coincida anche con un’antica unità di misura di lunghezza, corrispondente a quella che si ottiene allargando le braccia all’altezza del petto e distendendo le dita. Praticamente un abbraccio.

Così Lanera, accoglie e attrae a sé “la tragedia di chi non sa stare al mondo” e fa del suo corpo e della sua voce strumenti utili per accogliere l’ostico testo. Ai lati di un piccolo quadrato scenico, due aste col microfono, al centro, una poltrona. Scompare la camera da letto mentre, “Paesaggio con la Ninfa Egeria” di Claude Lorrain, “Maddalena in estasi” di Caravaggio, “Ila e le Ninfe” di Francesco Furini, riprodotti da Giorgio Calabrese, sono i tre pannelli che scendono a chiudere tre simboliche stanze della memoria.

Una felpa col cappuccio, leggings e anfibi “Cult” neri, vestono l’interprete nei panni dell’Uomo, che diviene la Donna quando indossa, invece, una delicata sottana chiara. Con lei Nina Martorana nel ruolo di una debole e insieme fortissima prostituta. E, mentre battono vibranti nello spazio le parole di “Rap God”, dal singolo di Eminem, “Look, I was gonna go easy on you not to hurt your feelings. But I’m only going to get this one chance. Something’s wrong, I can feel it” (Guarda, voglio essere gentile con te e non voglio urtare i tuoi sentimenti. Ma io voglio solamente cogliere questa ultima possibilità. C’è qualcosa che non va, lo sento), va in scena un combattimento tra le diverse anime di chi non trova il proprio posto dentro la società, “ragiona e scalcia, piange, ferisce, si nasconde, si offre e alla fine muore. Muore due volte, muore un’infinità di volte. Si ammazza.

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