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Cinespresso | March 19, 2024

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“Operazione U.N.C.L.E.”: Guy Ritchie va alla guerra (fredda)

Marco Minniti

Review Overview

Regia
6.5
Regia
6.5
Script
5

Rating

A quattro anni di distanza da Sherlock Holmes - Gioco di ombre, Guy Ritchie torna a fondere il gusto retrò col suo stile nervoso e la sua regia ipercinetica: l'ispirazione, stavolta, è quella di una fortunata serie spionistica anni '60, prodotta e ambientata durante la Guerra Fredda. Il risultato, tuttavia, a causa di una struttura confusa e frammentata, e di uno script superficiale, non convince del tutto.

Anno: 2015 Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia Durata: 116′ Genere: Azione Nazionalità: Usa Produzione: Warner Bros., Davis Entertainment Regia: Guy Ritchie Uscita: 2 Settembre 2015

Il nuovo lavoro di Guy Ritchie è una commedia spionistica tratta da una fortunata serie televisiva: gusto e stile non mancano, ma la sceneggiatura è superficiale e a tratti confusa

Anni ’60, in piena guerra fredda. L’agente della CIA Napoleon Solo e quello del KGB, Illya Kuryakin, si scontrano in quel di Berlino Est, mentre il primo cerca di accompagnare una ragazza, figlia di uno scienziato tedesco, oltre il muro. Dopo un violento inseguimento, culminato nel raggiungimento della parte occidentale della città, Solo riceve però un ordine sorprendente: da adesso in poi, Kuryakin sarà un suo alleato, contro un nemico che minaccia gli interessi di entrambe le superpotenze. Il padre della ragazza, infatti, sarebbe ostaggio di una misteriosa organizzazione criminale, che sta tentando di arricchire l’uranio per fabbricare in serie armi nucleari, mettendo così a rischio il fragilissimo equilibrio mondiale. I due uomini dovranno mettere da parte le diffidenze reciproche e collaborare in una pericolosa missione, che li porterà fino a Roma, sulle tracce di un collezionista d’arte, di sua moglie, e di un’azienda che serve in realtà da copertura per una struttura potente e ramificata.

Che Guy Ritchie fosse un cineasta dallo stile personale, e del tutto peculiare, lo si sapeva. Che certi tratti della regia dell’ex marito di Madonna potessero risultare invisi ad alcuni spettatori, pure non era un mistero. Operazione U.N.C.L.E., tuttavia, remake di una fortunata serie televisiva degli anni ’60, sembra portare all’estremo molti degli stilemi di Ritchie, già visti e metabolizzati nelle precedenti opere; immergendosi nel contempo in un’atmosfera, e in un “sapore” cinematografico, programmaticamente retrò. Nel film, oltre all’ovvio debito con la serie originale, c’è molta dell’estetica degli spy movies (e non solo) degli anni ’60, dei primi film di James Bond e della serie Mission: Impossible a partire dai titoli di testa dai colori pop, per proseguire con gli sgargianti vestiti di Alicia Vikander (in giro per la Capitale in Vespa, a fare il verso alla Audrey Hepburn di Vacanze Romane) proseguendo con l’uso di uno split screen che, prima che a De Palma, guarda indietro al Norman Jewison de Il caso Thomas Crown. Su questi riferimenti, e su questo clima (non privo di tratti accattivanti per lo spettatore cinefilo) Ritchie innesta la sua messa in scena che frammenta e scompone l’azione, fatta di ellissi, montaggio frenetico, racconto sincopato e non lineare.

Il postmoderno guarda quindi, ironicamente (ma non senza affetto) al cinema classico: un’operazione simile, in fondo, il regista l’aveva già portata a termine nei suoi due episodi di Sherlock Holmes (datati rispettivamente 2009 e 2011). Qui, tuttavia, l’operazione risulta complessivamente meno convincente, a causa di una sceneggiatura a tratti superficiale, che sembra comprimere lo sviluppo del racconto per lasciar spazio alle robuste dosi di azione, e umorismo, che Ritchie infonde nel film. L’intreccio appare a tratti confuso, trasmettendo un’impressione di trascuratezza più che di voluta complessità; in molti passaggi si fa fatica a seguire le diverse diramazioni del racconto, e ciò rende meno digeribile l’approccio nervoso e frammentario (più marcato che in passato) che il regista ha dato al film. Nonostante la presenza di singole, riuscite sequenze (un inseguimento automobilistico culminato in un tuffo, la grottesca fine di uno dei villain, tramite uno dei suoi strumenti di tortura) è l’impianto narrativo del film che sembra, stavolta, reggersi a fatica.

Sopra ogni altra cosa, Operazione U.N.C.L.E. non riesce davvero a far appassionare lo spettatore ai suoi personaggi. In una storia basata sull’amicizia/rivalità tra due caratteri schierati su lati opposti di una barricata (i comunque efficaci Henry Cavill e Arnie Hammer) questo risulta un limite abbastanza serio: è proprio il rapporto tra i due, nodo narrativo intorno al quale avrebbe dovuto ruotare l’intera storia, ad apparire oltremodo superficiale, privo di una credibile evoluzione. Stesso discorso si può fare per la love story, appena accennata, tra la spia sovietica Hammer e il personaggio della Vikander, inserita nella trama quasi forzatamente.

Il film di Ritchie, così, vive di singoli momenti riusciti, riuscendo anche, a tratti, a farsi divorare con gli occhi: ma manca l’obiettivo di organizzare le sue intuizioni (contenendo, nel contempo, l’estro del regista) in un racconto coerente. A conti fatti, più un’occasione persa che altro.

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