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Cinespresso | April 25, 2024

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Fiuggi Family Festival: “Ismael”, vincitore morale di un festival ad alto tasso ‘alcolico’

Cristina Mancini

Review Overview

Cast
7
Regia
8
Script
8

Rating

Un film che con leggerezza riesce a raccontare una società che non sa più a quali valori aggrapparsi offrendo numerosi spunti di riflessione e qualche sorriso amaro. Un'opera che s’interroga sul difficile rapporto madre-figlio e su una clandestinità vissuta trasversalmente da tutti i protagonisti.

Anno: 2013 Durata: 110′ Distribuzione: Unknown Genere: Drammatico Nazionalità: Spagna Regia: Marcelo Pineyro Uscita: Unknown

Controverso e discusso il premio della stampa al FFF il festival cinematografico dedicato alle famiglie che si è svolto nella nota località termale dal 19 al 26 luglio

Sette film in concorso per sette edizioni, neanche fosse un musical di Broadway! Sì, perché per un festival cinematografico se pur targettizzato sul tema ‘family’ sette lungometraggi non tutti inediti e non tutti meritevoli, sette è veramente un numero da rassegna paesana. E pensare che nella numerologia sarebbe stato considerato il numero dalla maturità con un significato di grande introspezione e critica oggettiva. Cosa che invece non c’è stata, almeno a vedere quanto è successo nell’assegnazione del premio della giuria della settima edizione dove a prevalere, è stata l’incoerenza, i franchi tiratori, e in fondo l’inesperienza. Ma al di là della nomination (il premio della stampa è solo uno dei tre Awards che FFF prevede), il vincitore morale che si vedeva assegnare in prima battuta il premio della stampa era un bel film spagnolo, Ismael di Marcello Pineyro (2013) che pochi minuti dopo, come nel gioco delle tre carte, senza un logico criterio perdeva il titolo a favore di Nobody owns me di Kiell-Ake Andersson.

E se la matematica non è un’opinione 15 voti a favore del film spagnolo contro i 6 del film svedese non avrebbero dovuto essere messi  in discussione. Eppure… è quello che successo. Ismael è un bambino di colore nato da una nigeriana clandestina e da un padre biologico che rifiuta di affrontare la paternità, andare contro le convenzioni sociali e una famiglia mononucleare dove una madre dura e fredda fa le veci di un padre assente. Si dice ce la fuga è la miglior difesa dopo l’attacco e così Felix Ambròs, il padre naturale, taglia alla radice il problema e scappa da Madrid a Girona inventandosi un lavoro da insegnante di sostegno per ragazzi difficili. Fino a quando Ismael, decide di attraversare la Spagna da Barcellona a Madrid dove un indirizzo su una letterina lo porta dal suo presunto padre naturale. Da qui una serie di incontri-scontri, di viaggi della speranza per capire, ma soprattutto trovare “il coraggio di conoscere” chi lo aveva messo al mondo.

Il film è un delizioso racconto di un amore vissuto nella clandestinità, di conflitti interiori e personali misti a quelli inter-raziali, di drammi che sono sotto gli occhi di tutti e che il regista ha saputo evidenziare con delicatezza facendo riflettere lo spettatore. I sentimenti in ballo sono dei più umani e coinvolgono le relazioni tra madri e figli, il vissuto di ognuno che condiziona il presente e su tutti la paura, la più ancestrale delle emozioni.  Il film conquista e piace perché, se pur con tono troppo sdolcinato, insegna agli adulti come parlare ai bambini e grazie alla fotografia della migliore cinematografia spagnola racconta con le giuste sfumature, finalmente, la famiglia del terzo millennio. Una famiglia che non è quella del mulino bianco ma di una società in piena crisi economica ed esistenziale.

Un film che con leggerezza offre molti spunti di riflessione, qualche sorriso amaro, e s’interroga sul difficile rapporto madre-figlio e su una clandestinità vissuta trasversalmente da tutti i protagonisti. Una clandestinità che nasconde la paura di affrontare la vita con le sue difficoltà e i suoi “imprevisti”. Un’opera che sa raccontare una società che non sa più a quali valori aggrapparsi.

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