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Cinespresso | April 20, 2024

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“Aloft” di Claudia Llosa

“Aloft” di Claudia Llosa
Valeria Brucoli

Review Overview

Cast
7.5
Regia
7.5
Script
6

Rating

Claudia Llosa cerca una regia sofisticata abbandonando i personaggi su una struttura narrativa inconsistente.

Anno: 2013 Durata: 112’ Distribuzione: Unknown Genere: Drammatico Nazionalità: Francia, Spagna, Canada Produzione: Ibon Cormenzana, Phyllis Laing, José María Morales Regia: Claudia Llosa Uscita: Unknown

Un dramma crudele che ha la consistenza della neve su cui è costruito.

Le architetture naturali di rami intrecciati fanno da tetto e da culla a una comunità new age che si è spinta fino ai confini del mondo, nei territori più freddi del Canada, per costruire una filosofia di vita in cui la congiunzione di arte e natura ha il miracoloso potere di guarire il corpo e lo spirito. Sotto la guida di un architetto-santone, Nana, interpretata da una algida Jennifer Connelly, trascina i suoi due figli attraversano lande desolate e inospitali nell’estremo tentativo di trovare una cura alla malattia del più piccolo, inconsapevoli del fatto che il potere taumaturgico sia nelle sue stesse mani.

Claudia Llosa stringe un patto tra uomo, arte e natura in una terra lontana dal suo Perù, dove aveva ambientato Il canto di Paloma, che aveva trionfato al Festival di Berlino nel 2009, e si inoltra in territori aridi e impervi in cui la natura selvaggia divora i personaggi uno dopo l’altro, inghiottendoli metaforicamente e fisicamente nelle profondità dei ghiacciai per congelargli l’anima. Anche nel paradiso di ghiaccio che si sono creati, sotto un tetto di cielo e alberi non c’è riparo dalla sofferenza. La natura è madre e matrigna allo stesso tempo e miete vittime in continuazione. Così mentre le altalene naturali cullano la disperazione e curano le ferite evidenti sul corpo, la natura ne genera di nuove e invisibili.

La morte è parte integrante di Aloft e afferma con crudeltà estrema la sua forza, mentre strappa alla terra le sue creature senza una motivazione coerente, se non quella di generare sofferenza e temprare gli animi. Dal falco brutalmente freddato sotto gli occhi di Ivan, il suo fedele amico, al fratellino Gully fagocitato dai ghiacciai per un puro scherzo del destino, la morte allontana il perdono e raggela il sangue senza dare chance di redenzione, se non a distanza di anni.

Alternando costantemente presente e passato, Claudia Llosa crea in una sceneggiatura già fragile come il ghiaccio, una serie infinita di fenditure e di cedimenti che la spettacolarità della fotografia non riesce a compattare. Citando neanche troppo sottilmente The Tree of Life di Terrence Malick,  la Llosa cerca una regia sofisticata e algida, senza considerare che il ghiaccio su cui ha poggiato la sua struttura sottile e articolata traballa sotto i piedi dei personaggi, chiusi nel loro dramma esistenziale, che rimangono immobili senza cercare uno spiraglio oltre il confine dei boschi in cui si sono auto isolati.

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