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Cinespresso | April 20, 2024

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All is lost. Il backstage, Redford e il mare

All is lost. Il backstage, Redford e il mare
Francesco Di Brigida

Dal 6 febbraio è nelle sale italiane All is lost. Robert Redford nell’inedito ruolo di velista in solitaria lotta contro l’oceano in un naufragio pieno di sorprese

«È la storia molto semplice di un tipo avanti con gli anni che esce per un viaggio in barca a vela per cinque mesi». Parola di J.C. Chandor, il regista di All is lost, il nuovo film in sala dal 6 febbraio che vede Robert Redford come protagonista assoluto di un naufragio nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. «Interviene il destino, la barca ha un incidente, e di fatto lo seguiamo in un viaggio di otto giorni mentre lotta per la propria sopravvivenza».

Chandor, quarantenne al secondo lavoro dopo l’apprezzabile Margin Call del 2011, riporta sul grande schermo il protagonista di tante indimenticabili pellicole. Da La Stangata a Il Grande Gatsby, da Il Candidato a I Tre giorni del Condor, da La mia Africa a Spy Game, l’attore e regista premiato con 2 Premi Oscar – uno alla Miglior Regia per Gente Comune nel 1981 e uno alla Carriera nel 2002 – si è misurato per l’occasione con una prova davvero ardua.

«Il copione mi piacque veramente perché era diverso. Era coraggioso, eccentrico e non c’era dialogo. Capii che J.C. sarebbe stato capace di realizzare quella visione, anche se non era tutto spiegato». È stata l’esternazione del protagonista. «Mi piacque J.C. Chandor perchè rappresentava proprio la persona che vogliamo appoggiare. Aveva una visione, era una voce nuova sull’orizzonte e raccontava la sua storia in maniera veramente speciale».

Il primo impatto con la sceneggiatura non è stato dei più facili, invece, per il produttore Neal Dodson. Ricevendo una copia di sole 30 pagine, piene per lo più di descrizioni, chiese al regista dov’era il resto. «J.C. rispose che quelle pagine erano l’intero copione, io rimasi sia atterrito che eccitato. Margin Call era tutto imperniato sul dialogo. E questo, chiaramente, non lo era per nulla. Devo ammettere che il mio primo pensiero fu: “Non so come diavolo facciamo a trovare un finanziamento per questa cosa”. Perché è abbastanza audace e coraggiosa».

Per la realizzazione del Virginia Jean, l’imbarcazione del protagonista, sono stati usati tre identici Cal Yacht da 11 metri. Uno per le esterne e il viaggio in alto mare, uno per gli interni in plancia e in dinette, e il terzo per gli effetti speciali. John P. Goldsmith, production designer anche per Tin Tin, Non è un paese per vecchi, L’ultimo samurai e Mr. & Mrs. Smith ha raccontato di aver scovato e importato le tre barche in giro per il mondo, insieme alla sua crew. «J.C. ed io abbiamo avuto fantastiche discussioni riguardo a cosa volevamo raccontare del Nostro Uomo tramite la sua barca». Ha ricordato lo scenografo, che si è chiesto anche: «Che passato ha avuto? È un militare? Un uomo d’affari? Un uomo di famiglia?».

Il lavoro poi ha portato verso una specifica direzione dettata dal regista. Il padrone della barca sarebbe stato un pensionato che l’avrebbe rimessa a nuovo senza un’eccessiva spesa di riparazione, e dopo 10 anni d’incuria per la crisi degli anni novanta l’avrebbe nuovamente rimessa in acqua per veleggiarvi ancora. «Così forse scelse cose come cuscini logori, facendoli rifoderare. Forse revisionò gli oblò, oppure qualche strumentazione elettronica. Sicché nella barca c’è quest’idea dell’accumulo di tempo e di passato. Ma non è un completo rifacimento, né una ristrutturazione. Perciò con l’allestimento siamo stati molto attenti a non esagerare». È la spiegazione di Goldsmith.

Dall’impostazione del lavoro di regia sulla scrittura vero e proprio perno della realizzazione è stato Robert Redford, che ha lavorato con estrema generosità. Per proteggerlo nella scena del ribaltamento del barca durante la tempesta – girata tutta all’interno della dinette, con il divo letteralmente centrifugato –  e realizzare il movimento di questo set, sono stati utilizzati cilindri idraulici come motori. L’idea di Brandon O’Dell, responsabile degli effetti speciali con alle spalle lavorazioni come quelle di Daredevil, Training Day e Come ammazzare il capo e vivere felici, ha affermato in proposito: «Semplicemente si tirava giù la prua dell’imbarcazione con un cilindro mentre con l’altro alzava la poppa, e viceversa. E così anche per i due fianchi. Ha funzionato molto bene».

La prestazione attoriale dell’icona di hollywood, abituata da sempre ad affrontare anche scene pericolose in diversi episodi della sua carriera, seppur avanti con l’età, ha offerto sul set e sul grande schermo prestazioni memorabili. «Ogni volta che faceva le sue acrobazie era avvincente ed eccitante, però ci metteva anche un po’ di paura». È la testimonianza di Anna Gerb, produttrice esecutiva della Washington Square Films, che attualmente sta lavorando a un rifacimento di Anna Karenina di Lev Tolstoy, film indipendente ambientato a New York dal titolo What happened to Anna K., che poi ha continuato a proposito della sua esperienza con Redford «È in perfetta forma. Adora l’acqua e adora nuotare. Il suo fisico è stato messo molte volte alla prova con questo lavoro. Anche rimanere bagnato tutto il giorno è estenuante e fisicamente debilitante per qualsiasi attore. Ma il suo spirito e la sua comprensione di questo film hanno avuto il sopravvento. Ogni giorno è venuto sul set, dandosi completamente alla realizzazione del film».

D’altra parte Redford, seppure con un filo d’ironia, non si è risparmiato neanche sugli apprezzamenti al regista: «Faccio questo a causa di J.C.. Mi piace, ha uno spirito gioioso e un’indole meravigliosa. Ma la cosa più incredibile è la sua mente mercuriale, che trovo davvero affascinante. Penso che avrà successo perché sa cosa vuole, sa come ottenerlo, e rimane sempre sciolto durante tutta l’operazione».

Dall’arrampicarsi su un albero maestro di 18 metri all’essere trascinato in mare nel mettere la tormentina, o nuotando tra le vele sommerse, una scena molto filmica ma poco velica è quella del farsi la barba in un momento del naufragio. Azione controversa per la situazione, che il divo ha interpretato così: «Uno lotta nelle avversità nelle maniere più strane. Ma quando diventano così sovrastanti, uno cerca di ricreare una qualche forma di normalità nella propria vita, anche se questo può sembrare strano».

L’ultima nota è sulle collaborazioni di Redford con i registi del Sundance, da lui stesso offerta con un’esternazione divertita: «C’è qualcosa di abbastanza ironico in questo, in tutti questi anni da quando ho iniziato con il Sundance Institute e il Sundance Film Festival, nessuno dei registi che ho promosso mi ha mai assunto. Non mi hanno mai offerto una parte, fino a J.C.!».

Continua…

Fonte: Universal Pictures Italia

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