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Cinespresso | March 29, 2024

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Antonio Rezza, pensieri su un’antologia

Antonio Rezza, pensieri su un’antologia
Ireneo Alessi

Dopo un’antologia durata un mese, e che ha fatto sempre il pienone, fermiamoci a riflettere sul caso Rezza, certamente uno dei più interessanti del palcoscenico contemporaneo

È tempo di bilanci in casa Rezza. Dopo un’antologia durata più di un mese (e che continuerà in tutta Italia con vari appuntamenti: Torino 30/1, Genova 31/1-2/2, Vicenza 7/2, Udine 8/2, Napoli 12-16/2, Mantova 20/2, Fermo 21/2, Barberino di Mugello 22/2, Milano 4-16/3 etc…) sembra giusto tirare le somme di un viaggio artistico che ha visto il performer protagonista e noi spettatori di ben quattro spettacoli: Fotofinish, Bahamuth, 7-14-21-28 e Fratto X.

Rezza ci introduce con nevrile energia nel suo universo, che si origina dalla destrutturazione linguistica, attraverso cui l’artista analizza e reinterpreta la storia del reale. La creazione di un linguaggio proprio è il primo e più importante merito di Rezza, giocoliere della ripetizione, del tic, del nonsense e delle assurdità nascoste nel quotidiano dialogo della vita. A completamento delle morfologie e delle sintassi (ri-)costruite dall’attore, le scene di Flavia Mastrella, strutture filosofiche con cui Rezza si relaziona a perfezione, dando vita a uno scambio fruttuoso. Resta aperta la questione dei contenuti, perché l’artista con questo linguaggio, che è già di per sé significante e significato, forma e sostanza, articola problemi differenti, ma spesso ricorrenti, e talvolta rischia di impoverire lo stesso codice, creativo e meraviglioso, con cui veicola i suoi frammentari pensieri.

Nell’ultimo spettacolo, Fratto X (2012), tutto è però perfettamente commisurato, persino l’ossessione antireligiosa e anticlericale dell’autore non travalica, o non più di tanto, il limite di un democratico rispetto, limite che invece viene ampiamente oltrepassato in Fotofinish, ma soprattutto in 7-14-21-28, probabilmente il meno riuscito dei suoi lavori. In Fratto X si avverte un ritmo incalzante, si trovano idee efficacissime e sofismi inaspettati, uno su tutti ‘la poesia’ del pollo e peperoni, insieme a una maggiore maturità, artistica e di pensiero, poiché la coerenza stilistica è per la prima volta accompagnata da un messaggio più compiuto: una critica alla società telecratica, a una cultura massificata in cui l’individuo si trascina “senza un giorno di ferie”, sopraffatto e abbandonato a questa sopraffazione, che lo fa parlare con la voce degli altri, forse persino pensare pensieri altrui.

Un tragitto tormentato e altalenante questa antologia, come in generale il percorso artistico di uno degli uomini più innovativi del teatro contemporaneo italiano. Aspettiamo con grande curiosità la sua prossima prova, augurandogli di mettere il suo talento e il suo originale linguaggio al servizio di una critica costruttiva.

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