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Cinespresso | April 25, 2024

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L’aquilone spezzato di “Volantín cortao”

L’aquilone spezzato di “Volantín cortao”
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
6.5
Regia
6.5
Script
7

Rating

La macchina da presa racconta in maniera semplice la storia di una vita che dovrebbe decollare, planare come un aquilone. Questo film è una periferia del mondo, un margine metropolitano dell’umana incoscienza di un vuoto. Una bolla tutta giovanile

Anno: 2013 Durata: 77′ Distribuzione: Unknown Genere: Drammatico Nazionalità: Cile Produzione: Gallinazo Film Regia: Diego Ayala, Anibal Jofré Uscita: Unknown

Avvolti dallo sfondo metropolitano di Santiago del Cile due giovani, una stagista e un ragazzo con problemi con la legge, si incontrano in un rapporto difficile e bordeline

Paulina (Loreto Velasquez) lavora come praticante per diventare assistente sociale in un centro diurno di recupero per minori che hanno commesso reati. Anche se il personale è civile, le regole sono ferree: ordine e buon esempio ai ragazzi e nessun contatto con loro fuori dall’istituto. Le cose si complicano quando la ragazza intreccia un’amicizia con Manuel (René Miranda). I rapporti tra lei e il sedicenne con piccoli precedenti proseguirà tra le strade di Santiago, all’insaputa del personale del centro.

Diego Ayala e Anibal Jofré sono al loro secondo film. La loro macchina da presa racconta in maniera semplice la storia di una vita che dovrebbe decollare, planare come un aquilone. Volantín cortao vuol dire invece aquilone spezzato. Il grigio della città circonda i personaggi come un nimbo, una speranza di cambiamento, di miglioramento. E la vitalità è contenuta tutta nei protagonisti e nei character che li circondano. Così i genitori, i colleghi e il responsabile di lei, o gli amici e la nonna di lui. E le inquadrature si adattano ai mood che attraversano la storia. Come quelle particolarmente giocose nelle riprese al cellulare dei protagonisti sulle giostre. Utilizzate dai registi in soggettive mosse e digitali che ben sintetizzano immaginari e ricordi delle nuove generazioni.

“Se fai la spia, la faccio anch’io. Vediamo a chi credono”

Manuel e Paulina trovano un segreto da custodire insieme. Sarà questo a far cementare le loro esistenze, ma più di tutto, per il branco rappresentato seppur in una cellula di due soli elementi, contaminarsi a vicenda diventerà un’incontrollabile reazione a catena. Il film è lucido, non buonista, un lavoro attento dei due autori non molto distanti dalle età dei protagonisti, e quindi dallo sguardo presente e concreto sulla storia. Vincitore di due Premi del Pubblico al Festival di Valdivia, in Cile, e presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, il lungometraggio rappresenta uno spaccato di adolescenza con ambientazione inusuale e interessante.

“Io rubo solo a quelli che sono distratti. Vediamo, fa una faccia cattiva”

Sull’autobus Manuel spiega a Paulina come si taccheggia un passeggero. La luce è posata sulla pellicola in maniera realistica, quasi cruda. L’ambizione non è chiaramente quella di spettacolarizzare né mitizzare ad arte la generazione adolescenziale cilena. L’appeal della scrittura non è ammiccante a droga, sesso o violenza, né vi si trova un’ironia così volutamente lampante o sorniona. Il racconto è piuttosto quello di vite comuni che incrociandosi sfuggono in una sterzata imprevista. Ma la periferia che Ayala e Jofré ci mostrano non è  soltanto quella di Santiago. È una periferia del mondo, un margine metropolitano dell’umana incoscienza di un vuoto. Una bolla tutta giovanile per un film che suona le note dell’esistenzialità non su sguardi o discorsi, ma su errori. Gli errori che nella vita deviano un futuro o che spezzano speranze come aquiloni.

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