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Cinespresso | April 16, 2024

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David O. Russell e le verità di American Hustle

David O. Russell e le verità di American Hustle
Lorenzo Colapietro

Abbiamo incontrato, presso l’Hotel Hassler di Roma, il regista David O. Russell che ci ha parlato del successo con il trittico dei suoi ultimi film e ci ha presentato il nuovo American Hustle – L’apparenza inganna

Dopo i Led Zeppelin ne Il lato positivo, volevo chiederle come ha lavorato con le musiche in questo film?

«La musica ha assunto sempre una maggiore importanza nei miei film, è stato un crescendo. In questo film c’è più musica e più ballo rispetto a qualunque altra pellicola che abbia mai girato e in un certo senso con American Hustler credo di aver completato la trilogia che ero destinato a girare, tutto il resto è stato preparazione per questo. Fondamentalmente i film che parlano di queste persone, della musica del loro linguaggio, del loro amore, la melodia del cuore che si spezza, la musica è diventata parte integrante del film e devo dire che alcuni pezzi erano già all’interno della sceneggiatura, Duke Ellington, ad esempio, dice già tutto; il brano era stato registrato dal vivo e i due personaggi all’interno della pellicola hanno la sensazione di essere gli unici ad avere a cuore il jazzista, questo è l’inizio della loro storia d’amore. Detto questo non mi interessa affatto costruire un film con protagonisti esclusivamente cinici, quello che mi interessa è perché vivono? Chi sono queste persone? Sono personaggi che fanno i conti con il passato, presente e futuro, mi interessa la loro passione per la vita. La sofferenza e il dolore sono facili da rappresentare io invece voglio raccontare personaggi che vanno oltre, io non faccio film sulla boxe o sulla truffa io faccio film sulle persone sulla loro sofferenza ma anche sul loro incanto, sul loro amore perché bisogna averli entrambi per andare avanti. Quello che amo sono le canzoni trascurate ed usarle in maniera imprevista così come cerco di fare con gli attori, ad esempio in The Fighter Christian Bale e Melissa Leo cantano una canzone dei Bee Gees che a quei tempo era considerata una cosa disgustosa, ma riascoltandola l’ho rivalutata e fatta cantare ai due protagonisti, secondo me la canzone era perfetta per il personaggio di Melissa, una donna che ha paura del cambiamento. Importante nella colonna sonora è la Electric Light Orchestra, il cui co-fondatore Jeff Lynne è stato così contento di essere stato scelto per American Hustle da avermi donato dei brani inediti dopo aver visto una piccola anticipazione del film».

I suoi ultimi tre film (The Fighter, Il lato positivo, American Hustle) mostrano un suo stato di grazia personale, volevo sapere da lei la motivazione di questo suo momento fortunato.

«Devo dire che ho iniziato a fare film in maniera diversa, sono un regista diverso, perché la vita mi ha portato a esserlo. Dopo aver fatto i primi film mi sentivo perso, non sapevo più che pellicola girare, che storia raccontare, è stato un periodo molto strano e duro della mia vita. Ho un figlio che soffre del disturbo bipolare e ho passato molto tempo a cercare di aiutarlo, ho divorziato e sono finito al verde non facendo più film per circa sei anni, ora sono questa persona perché la vita mi ha messo in ginocchio e mi sono avvicinato di più alle persone. Come dice Irving nel film “le cose le devi fare non partendo dalla testa ma dai piedi in su” , mi sono reso conto dove dovevano partire le storie che volevo raccontare: dal mio cuore. I miei personaggi sono persone che vivono di istinto e passione anche se poi si trovano in guai tremendi, io conosco questi personaggi e per me contano molto di più della storia, e partendo da quello che mi è successo ho creato questi tre film. È molto importante essere in linea con quello che provi».

Penso che il 90% di un film si capisca dalla prima scena, lei è andato oltre con la didascalia “alcuni dei fatti narrati sono accaduti realmente”. Quali sono i fatti realmente accaduti e se c’è un qualcosa di personale nel mettere all’interno della pellicola personaggi italo-americani.

«I miei nonni materni sono calabresi. Mia madre era una segretaria quando incontrò mio padre (un ebreo-russo) e poi si sposarono. Io questi personaggi li conosco, per me è stata una specie di rivelazione capire quanto sono simili a me. La mia famiglia è sparsa per i cinque quartieri di New York e per me sono come un forziere dal quale attingere per raccontare le mie storie. Io ho preso le cose che servono al tema del film e sono: l’umanità, il reinventarsi, la sopravvivenza; questi fatti sono quelli che utilizzo per motivare la sceneggiatura, i fatti veri sono quelli ancora più strani di quelli inventati, esempio il personaggio di Robert De Niro, il mafioso, è vero che parlava arabo; è vero che il papà aveva una vetreria e che lui non volendo seguire le orme di famiglia ha iniziato a fare il truffatore; aveva effettivamente una socia in affari che poi era anche la sua compagna; esisteva davvero questo agente dell’FBI un po’ strano; è vissuto un sindaco dal cuore buono che per aiutare la sua città aveva preso delle tangenti. La cosa più vera di tutte è che queste persone erano innamorate».

Volevo una giustificazione sul commento precedente per quanto riguarda la corruzione, essendo un reato molto grave mi chiedevo cosa ne pensasse.

«Ovviamente sono contrario alla corruzione, sicuramente per Carmine (Jeremy Renner) sarebbe stato meglio non accettare tangenti. Poi a quei tempi la cosa sembrava più innocente, ora milioni di dollari vengano trasferiti in luoghi sconosciuti e il mondo è molto più complicato e corrotto. Quello che penso del personaggio è che sia una persona amabile e in maniera genuina voleva bene ai suoi elettori, alla sua gente. Ricordate la scena in cui Carmine e Irving si confrontano nella stanza di albergo, beh sono quattro perché il loro riflesso allo specchio solo l’altra parte di loro, quella a cui non importa di violare la legge, o di truffare il prossimo, non è quindi tutto bianco o nero ma ci sono varie sfumature».

I suoi protagonisti vincono spesso l’Oscar. Come fa a convincere gli attori a cambiare i proprio ruoli e a rischiare così tanto.

«Prima di tutto io vi ho raccontato quella che è stata la mia vita, e gli attori lo capiscono e poi hanno visto gli altri film che ho fatto o vi hanno recitato. Quello che cerco di fare è quello creare dei ruoli adatti a loro, io vado a casa loro ed è come se io facessi i casting presentando dei personaggi che li spingessero ad accettare. Una cosa importante è continuare ad impegnarsi senza adagiarsi sugli allori, si deve continuare a “sentire la fame” nonostante il budget che hai, perché è quello che ti dà lo stimolo a dare il meglio di te».

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