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Cinespresso | April 24, 2024

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Viaggio dorato nel B-movie: “I Tarantiniani”

Viaggio dorato nel B-movie: “I Tarantiniani”
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
7
Regia
7.5
Script
8

Rating

Molto televisivo per i tempi serrati la durata, il film è adatto sia ai nostalgici e agli aficionados. Un vortice d’immagini, storia e citazioni filmiche con alcuni doverosi riferimenti all’autore di Pulp Fiction.

Anno: 2013 Durata: 59’ Distribuzione: Unknown Genere: Documentario Paese: Italia Produzione: Baires Produzioni Regia: Steve Della Casa, Maurizio Tedesco Uscita: Unknown

I registi di poliziotteschi, horror, western e action dei ’70 si raccontano davanti alla telecamera di Steve Della Casa. Da Tomas Milian a Umberto Lenzi, da Ruggero Deodato a Enzo G. Castellari, e molte altre pietre miliari in un’ora avvincente di storia del cinema di genere

Dal titolo potrebbe sembrare si tratti di un tourbillon di fan di Quentin Tarantino, di artisti a lui ispirati. È esattamente il contrario. Maurizio Tedesco, insieme a Steve Della Casa, giornalista e critico cinematografico ha raccolto in video le testimonianze dei registi che hanno formato con le loro opere, inconsapevolmente,  il gusto e la creatività di uno dei più importanti cineasti contemporanei. Clip di aneddoti sui set raccontati davanti all’obiettivo da un divano di casa o dalla panchina di un parco si alternano a scene dei film citati in un’amalgama accattivante, ritmata, sostenuta dalle musiche pungenti o inquietanti, dolcissime o thrilleriche che hanno dipinto quei tre lustri di cinema estremo.

Ci sono Sergio Martino, Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari, Ruggero Deodato e Tonino Valerii. E poi i capostipiti riconosciuti, che anche se non ci sono più restano comunque immortali nelle loro opere e attraverso i video d’annata scelti da Tedesco e Della Casa. Così compaiono Sergio Leone, Fernando Di Leo e Luciano Martino in racconti, riflessioni sul cinema di genere che sono vere e proprie chicche.

“Sapevo che c’era questo boom del western, dove gli attori si cambiavano il nome perché si vergognavano. Ma io li facevo perché mi piaceva”

Nel vortice d’immagini, storie e citazioni filmiche con alcuni doverosi riferimenti all’autore di Pulp Fiction, spuntano anche brevi testimonianze di attori come Franco NeroBarbara Bouchet e Tomas Milian. Quest’ultimo sul western, crudo, irresistibile e sempre un po’ irriverente anche per chi lo ricorda soltanto giovane, in tuta da meccanico e con la voce di Ferruccio Amendola. Si parla di poliziotteschi, degli inseguimenti nel traffico vero di Umberto Lenzi, pericolosi al limite dell’irresponsabilità; di Amazzonia e delle febbri contratte nella lavorazione in condizioni quasi preistoriche di Cannibal Holocaust. E poi degli stilemi del western segnati da Leone, e degli allori e delle polveri ottenuti da questa avventurosa galleria accompagnata fuori dalle sale da rivoluzione sessuale, battaglie per la legge sull’aborto e il periodo nero del terrorismo. Non mancano neanche dei piccoli segreti su quel cinema che tanta critica rigettò all’epoca, così quanto adesso è tornata sull’argomento in pompa magna, grazie al fatto che proprio Quentin Tarantino venera questi autori di sogni, incubi e emozioni forti su celluloide.

Il lavoro del duo registico è molto prezioso. Tra cowboy, demoni, poliziotti corrotti, donne affascinanti, criminali traditori, mostri, cannibali e avventurieri aprono un pantheon dal filo conduttore estremamente interessante. Schiudono serrature arrugginite sulle ragioni di splendore e decadenza del cinema di genere e mettono in luce i talenti alcune volte in passato non riconosciuti di veri e propri artigiani dell’arte visiva.

È uno spasso il paragone di Enzo Castellari – regista di un cult Quel maledetto treno blindato, in inglese Inglorious Bastards, il war movie dal quale è nato proprio il quasi omonimo Inglorious Basterds con Brad Pitt – tra Vado, l’ammazzo e torno e Alice non abita più qui in un discorso intorno alla forza del titolo e all’adrenalina che scatena nello spettatore già dalla locandina. E con il piglio di un vecchio zio romano dalle parole piene d’esperienza, non solo questa iperbole, ma anche quelle degli altri autori chiamati a raccolta da Della Casa e Tedesco fanno passare cinquantanove minuti in un battito d’ali. Il senso di soddisfazione aumenta progressivamente rispetto a quello di percezione del tempo perché si vede tanto quanto in un doc di due ore.

Scorrono tra una moltitudine di attori in azione le facce di grandi interpreti come Gastone Moschin e Giuliano Gemma. Per adesso il documentario più movimentato dell’anno è stato presentato anche come evento speciale al Maxxi nell’ambito del Festival del Film di Roma, ma ancora privo di un pubblico che meriterebbe ampiamente, I Tarantiniani è televisivo per tempi serrati e durata, pur riempiendo generosamente il grande schermo. Un doc adatto sia ai nostalgici che agli aficionados, quanto a chi – a patto che abbia pelo sullo stomaco – avrà voglia di scoprire i retroscena di un cinema che seppur museale, poiché chiuso in quei tre lustri tra i settanta e i primi anni ottanta, scalpita ancora con una vitalità unica.

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