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Cinespresso | April 25, 2024

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“Take five”. Lo sguardo strabico ai “Soliti ignoti”

“Take five”. Lo sguardo strabico ai “Soliti ignoti”
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
7
Regia
7
Script
5

Rating

Sono tutte buone le carte che gioca Guido Lombardi. Ma avrebbe potuto vincere la sua partita giocandone semplicemente qualcuna di meno. È un peccato perché la regia invece è molto coinvolgente.

Anno: 2013 Durata: 95’ Distribuzione: Unknown Genere: Drammatico Paese: Italia Produzione: Minerva Pictures, Eskimo, Figli del Bronx, Rai Cinema  Regia: Guido Lombardi Uscita: Unknown

Il nuovo lavoro di Guido Lombardi utilizza il titolo del classico jazz del Dave Brubeck Quartet. Un cast poderoso e una storia di malavita tra caveau e sobborghi napoletani

L’incipit del racconto jazz in 5/4 per parafrasare lo storico pezzo jazz suonato da Dave Brubeck, Take Five è decisamente originale. I musicisti erano 4, ma qui i personaggi sono 5, quindi sono i tempi. Carmine (Carmine Paternoster) è un operaio del Comune di Napoli con il vizio del poker. Gravemente indebitato con la cosca di un boss locale, O’ Jannone (Gianfranco Gallo), un giorno viene chiamato per chiudere la falla fognaria nei sotterranei di una banca, proprio all’ingresso del caveau.

Qui inizia un omaggio a I soliti ignoti di Monicelli, film del 1959 e coetaneo proprio del brano jazz. Carmine svela il segreto a Gaetano (Gaetano Di Vaio), un ricettatore di buon cuore, e questi mette insieme un’improbabile banda del buco. Salvatore (Salvatore Striano) è stato un grandissimo scassinatore, ma per via dell’infarto che lo ha messo in guardia da una vita adrenalinica ha preferito aprire uno studio fotografico, crogiolandosi nella relazione con una modella Elisha (Esther Elisha). C’è lo Sciomèn (Peppe Lanzetta) un boss decaduto e depresso appena uscito di prigione, ma con i modi istrionici di un uomo di spettacolo. Ruocco (Salvatore Ruocco) caro nipote di Gaetano è un ragazzone dal carattere difficile, un ex-pugile promettente che radiato dallo sport per aver preso a sediate un arbitro sbarca il lunario con i combattimenti clandestini. A parte la citazione della rapina col buco, quello di Striano è un character simile al Tiberio di Mastroianni invece zoppo, fotografo e con un figlioletto. Mentre il pugile Ruocco ricorda  vagamente il memorabile Peppe er Pantera di Gassman.

Il film parte bene. Ha un inizio forte da commedia, ma poi muta. In continuazione. Cita un interrogatorio di Benicio Del Toro in Traffic di Steven Soberbergh, con la chiacchierata della banda in una piscina rumorosa e affollata di bambini a scuola di nuoto, per evitare di essere ascoltati da orecchi estranei. Poi si butta con dei flash sul The Snatch di Guy Richie, tra i combattimenti clandestini e le situazioni da gangster movie grottesco con il boss e i suoi scagnozzi. Poi c’è l’inserimento, forse un po’ forzato, di nomi reali e esperienze relative carcerarie degli attori protagonisti. Sicuramente per rinforzare il concept cinejazz del tempo in 5/4. Ma con le belle capacità registiche di Lombardi, forse un po’ di metacinema non avrebbe stonato.

Bando alle ciance la sceneggiatura è, o meglio sarebbe ben scritta se non soffrisse di una troppo evidente eterodirezione. Ogni personaggio va per i fatti suoi. Ci sono generi e sottogeneri che s’inseguono, a volte stridono, portano non tanto lo spettatore alla trappola narrativa dell’ho capito tutto, mentre il film vira con sorpresa altrove. L’impressione è che ci sia molto, forse troppo citazionismo. Eppure Guido Lombardi è uno che le idee buone ce le ha e le sa ben dirigere sul set. La storia si sfilaccia troppo prima di tornare a una chiusura simmetrica rispetto all’inizio. Ci sono commedia all’italiana, noir, gangster movie, poliziottesco, heist-movie, perfino doc, e poi dramma e un pizzico di romance. Tante direzioni troppo diverse tra loro. Viene da qui lo strabismo che rischia il pubblico su questo audace tentativo presentato in Concorso al Festival Internazionale del Film di Roma. Un Tarantino all’italiana che non riesce a brillare, pur avendone le potenzialità, insieme a un cast dirompente.

Sono tutte buone le carte che gioca il regista e sceneggiatore. Ma avrebbe potuto vincere la sua partita giocandone semplicemente qualcuna di meno. È un peccato perché la regia invece è molto coinvolgente. La Napoli del sottosuolo e quella dei vicoli contrapposte alla borghesia di quella bancaria, i nascondigli squallidamente bucolici dei boss e gli interni delle case anni settanta, i movimenti di macchina sulle pistole e le scene di sparatorie sono avvincenti, avvolgenti. La fotografia di Francesca Amitrano, nei contrasti tra cupe scale di grigi e colori pieni, taglia tutto con un appeal estetico notevole. E la direzione del ricco cast è un lavoro di pregio. Un film che come una giostra narrativa un po’ sconclusionata prende il pubblico sballottandolo un bel po’, per poi riporlo “non troppo dolcemente” al punto di partenza? Vedere per credere.

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