Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Cinespresso | April 25, 2024

Scroll to top

Top

No Comments

Intervista esclusiva a Marco Visalberghi 3/3

Intervista esclusiva a Marco Visalberghi 3/3
Eugenio Murrali

È nelle sale l’attesissimo Sacro Gra, il film documentario vincitore del Leone d’oro a Venezia. Il suo produttore, Marco Visalberghi, ci racconta quest’avventura e noi siamo fieri di aver iniziato la bella conversazione con lui quando tutto era solo un presagio

Sacro Gra. Questa strana avventura che vi ha portato fino a Venezia e alla vittoria del Leone d’oro: come è nata, l’avete cercata, è capitata?
Forse Sacro Gra rappresenta in tutto e per tutto il tentativo di diversificazione e di fuga dal racconto televisivo puro e semplice. In un certo senso è un lusso che ci siamo permessi.
Una brava montatrice italo-americana, Lizi Gelber – che vive in Francia, ma ha una casa a Roma –, e un suo amico, Nicolò Bassetti – che fa l’urbanista – si sono messi a discutere del raccordo anulare e hanno deciso che sarebbe stato un territorio interessante da far raccontare da quattro o cinque registi diversi.
Inizialmente ero molto scettico, finché non ci è venuta una sorta di illuminazione e abbiamo capito che una storia di questo tipo avrebbe potuto funzionare solo se messa in mano a un regista con un approccio molto molto personale ai personaggi: abbiamo pensato a Gianfranco Rosi. Da poco avevamo visto Below Sea Level, da cui si capisce che Rosi ha la capacità di far apparire i personaggi per come sono, ma allo stesso tempo li porta a offrire un’immagine sublimata di se stessi. Rosi riesce a far esprimere le persone nella loro profondità e umanità, in una maniera tale da dargli una dimensione di personaggio, in senso cinematografico. Un territorio come il raccordo anulare, con i suoi 60 kilometri di asfalto e milioni di persone che ci gravitano intorno, poteva diventare nelle mani di un regista come lui il luogo di una serie di incontri inaspettati e affascinanti. Gianfranco ha lavorato moltissimo, ha studiato tante possibilità, alcune le ha intraprese per poi interromperle, altre le ha scartate, finché non ha selezionato quei personaggi capaci di parlare al suo cuore e avevano con lui un rapporto molto personale.
Questi personaggi hanno un rapporto stretto con il raccordo?
Principalmente hanno un rapporto geografico, vivono in quell’area. Non è un caso che Rosi si portasse in giro Le città invisibili di Calvino, perché in fondo il raccordo è invisibile, è una realtà astratta, un filo che tiene insieme queste storie tenere, comiche… sì tenere. Ci sono personaggi rudi che però hanno in comune una tenera verità che li unisce. Il pescatore di anguille, il portantino sull’ambulanza, l’attore di fotoromanzi… tutti hanno una loro curiosa umanità.
Com’è Rosi?
Rosi è un one man band: lui si occupa di suono, fotografia, riprese e regia. Anche se si fa aiutare, lui tende a fare da solo, anche perché, come ho detto, il suo rapporto con i personaggi è molto personale. D’altra parte però ci tiene molto a raccontare le cose che fa. Certo è caparbio e determinato, se ritiene che le riprese non siano finite, non lo tiene nessuno.
È la vostra prima collaborazione?
Sì e sono tre anni che lavora a quest’opera. Distribuiremo poi anche il suo film El Sicario Room 164. In quel caso ha intervistato un uomo che faceva il killer per il cartello della droga. Non poteva guardarlo in faccia, perché l’uomo era sempre bendato, poteva intervistarlo solo nella più brutta delle stanze d’albergo e tutto il film sarebbe stato la sua intervista. Io un film con queste prospettive forse non l’avrei finanziato. Eppure quando tu inizi a sentire questo signore col volto coperto che parla di tutte le persone che ha ammazzato nella sua storia, dopo i primi cinque minuti non riesci più ad alzarti dalla sedia. Alla fine pensi che sia durato una mezzora e invece sono passati novanta minuti. Piccolo colpo di genio: invece del passamontagna, Rosi gli mette una veletta simile a quelle delle dame di altri tempi. Questa veletta si agita e dopo poco diventa espressiva. Tutti pensano che sia un attore, invece è il vero sicario. Gianfranco ha solo inserito tre o quattro foto per dividere i capitoli.
La potenza di una storia di questo tipo non ha paragone con nulla che possa essere “fictionato”.
Tornando a Sacro Gra, come avete gestito la produzione?
Per fortuna abbiamo avuto dei soldi dal MIBAC, una discreta partecipazione di RAI Cinema, Tax Credit, piccoli contributi (Film Commission, Regione Lazio, etc.). Avrebbe dovuto esserci un 50% di produzione francese, ma poi sono rimasti dentro solo al 12% e questo ha complicato le cose.
Quali sono state le reazioni quando vi hanno selezionato a Venezia?
Abbiamo toccato il cielo con un dito. All’inizio avevamo provato con Cannes, ma non ci hanno preso, poi eravamo indecisi tra Locarno e Venezia. Abbiamo deciso per Venezia e pochi giorni dopo ci è stato confermato che eravamo in concorso. Una gioia insperata, anche perché documentari non ce n’erano mai stati.
Questo geniale titolo: Sacro Gra?
Dall’inizio abbiamo pensato a questo titolo, tanto che a lungo ne abbiamo anche cercati altri, ma nessuno ci ha convinto di più e alla fine è rimasto Sacro Gra.
Perché è Sacro questo Gra?
Stessa domanda che ho fatto oggi io ai ragazzi che preparavano la locandina. Spiegare cosa è il Gra è facile, ma bisogna saper dire perché è Sacro. È Sacro perché è l’anello che cinge San Pietro. È Sacro perché ci ha consacrato al Festival di Venezia. È Sacro perché ci unisce. Non lo so… Poi di sacro nel film non c’è molto, però una scena mi piace particolarmente: una serie di fedeli che osservano una sorta di miraggio solare.
Soddisfatti?
È una di quelle rare volte in cui le fatiche sono ripagate. Siamo stremati e felici.

Submit a Comment