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Cinespresso | April 23, 2024

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La Variabile Umana, incontro con Bruno Oliviero e i produttori 1/2

La Variabile Umana, incontro con Bruno Oliviero e i produttori 1/2
Ireneo Alessi

In attesa dell’anteprima alla 66ª edizione del Festival del film Locarno ecco l’incontro con Bruno Oliviero e i produttori Lionello Cerri e Gabriella Manfrè.

Alla presentazione di Roma del film d’esordio del documentarista di origine napoletana, Bruno Oliviero, erano presenti anche i due produttori Lionello Cerri e Gabriella Manfrè in rappresentanza della Lumière & Co. e della Invisibile Film, le società produttrici del film in collaborazione con Rai Cinema.

Il suo ispettore di polizia, interpretato da un ottimo Silvio Orlando, ha degli antenati ben precisi a livello sia letterario che cinematografico, ci racconti i modelli a cui si è ispirato?

Oliviero: «Sicuramente l’ispirazione viene da certa letteratura americana degli anni ‘30, da autori come Chandler, quando ho iniziato a scrivere il film inizialmente l’idea era di dar vita ad un personaggio maschile che rappresentasse la legge e che fosse deluso da quello che la sua professione nella funzione pubblica rappresenta. Volevo che egli fosse poi richiamato da un fatto personale molto spinoso a ripensare al suo ruolo di uomo pubblico».

La storia ha molta attinenza con l’attualità dopo lo scandalo della prostituzione minorile che ha coinvolto esponenti politici e dello spettacolo, Quanto hanno pesato queste vicende sul ritratto di Milano nel film e sulle scelte di sceneggiatura?

Oliviero: «La prima idea del film è stata concepita molto prima delle notizie, per me che negli ultimi dieci anni ho fatto solo documentari e che vivo a Milano da quindici anni ‘sentire il luogo’ è sempre molto importante. A dire il vero le notizie di cronaca ci hanno disturbato ma soprattutto perché ora gli italiani hanno come un’ossessione nei confronti di questo argomento e del caso Berlusconi, è questo che ha pesato di più sulla costruzione del film. Nutro un certo affetto per Milano, una città che trovo molto bella e che si sviluppa come una grande città internazionale. L’ho filmata con amore. Nel film poi Milano è un personaggio al pari della ragazza, un ruolo che ha un suo limite e peso».

Si è sentito più libero di raccontare la realtà attraverso la finzione, rispetto al precedente lavoro di documentarista?

Oliviero: «Ho voluto essere molto preciso nel raccontare una città quasi mitologica. E mi sono sentito più libero che nel documentario, ma la mia è stata una scelta ponderata, potevo finalmente analizzare tutta quella parte dell’animo umano senza che il mio lavoro risultasse ai limiti del voyeuristico. Quando lavori ad un documentario prendi pezzi di vita reale della gente mentre qui li costruisci tu senza essere invadente».

Quali sono state le motivazioni che l’hanno portata a scegliere Silvio Orlando per il ruolo da protagonista?

Oliviero: «Ci è sembrata una scelta giusta perché strana rispetto ai ruoli che aveva già interpretato, una parte, quella di Monaco, in cui non deve riscuotere la simpatia che di solito si addice ai suoi personaggi. In ogni opera prima si fanno delle scommesse, questa era una delle nostre, che mi sembra sia stata vinta. E oggi sono grato a lui per il lavoro fatto, si è fidato di me e di ciò che gli chiedevo, era felice di poter fare qualcosa di molto diverso. Con Silvio poi abbiamo molto discusso riguardo a Linda, il personaggio di Alice Raffaelli, sull’ambiguità del soggetto. Bisognava stare attenti a non escludere questa parte. Perciò la ragazza doveva avere un corpo degno di essere ammirato e desiderato».

Una domanda ai produttori. Com’è nata la collaborazione tra Invisibile Film e Lumière & Co.?

Manfrè: «Quando abbiamo chiesto a Lionello Cerri di collaborare con noi alla produzione lui ha generosamente accettato di condividere l’avventura e lo ringrazio per l’opportunità che ci ha regalato con la sua contagiosa voglia di fare e con la sua esperienza. Di realtà produttive a Milano che fanno cinema non ce ne sono molte attualmente. Voglio continuare su questa strada e dare spazio ad autori milanesi o che hanno scelto Milano. Credo che in questo momento sia tra le più fertili d’Italia dal punto di vista degli autori».

Lionello: «Personalmente ho l’ambizione di fare film in tutta Italia e non solo a Milano, specialmente in questa fase assai critica per il cinema italiano non è facile andare avanti e trovare risorse. Vorrei fare film dovunque sia necessario farli ed aiutare così un’industria che sta andando avanti con sulle sue gambe».

Nel film colpisce il grado di precisione usato per descrivere ad esempio gli uffici della polizia, l’obitorio, ecc. Un elemento che ricalca molto il mondo del documentario dal quale proviene. Quanto vi siete documentati a proposito?

Oliviero: «Tanto. Abbiamo fatto come Dreyer ne “La passione di Giovanna d’Arco” quando afferma che aveva cercato i dettagli incredibili ma veri dell’epoca. Anche noi abbiamo fatto lo stesso in scrittura, incontrando continuamente persone della polizia oltre alla Cristina Cattaneo, autrice di libri che ci ha aiutato molto. Così come la responsabile dell’obitorio di Milano. Il capo della omicidi, il vice-questore, tutte persone che ci hanno dato dei consigli dopo aver letto la sceneggiatura. In aggiunta abbiamo chiesto loro le cose più strane. Sfiorando la possibilità di girare nella vera questura. Abbiamo trascorso diverse ore a fare fotografie. Persino la scelta di inserire i disegni dei bambini sui muri o sugli armadietti o gli stessi lavori in corso svolti durante le ore di lavoro, sono tutti dettagli presi dalla realtà. In pratica abbiamo fatto di tutto. Siamo all’avanguardia. Abbiamo utilizzato persino il carrellino per i cadaveri alla CSI. Inoltre, quello visto nel film è il vero obitorio di Milano».

Continua…

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