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Cinespresso | April 19, 2024

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Intervista con Federico Zampaglione 1/2

Intervista con Federico Zampaglione 1/2
Ireneo Alessi

A quasi un mese dall’uscita del suo più controverso film, “Tulpa”, abbiamo intervistato Federico Zampaglione, storica voce dei Tiromancino, per parlare della sua produzione, del rapporto con Claudia, ma anche di cibo.

Tulpa arriva dopo il debutto alla regia con Nero bifamiliare e Shadow, un film definito come “un esempio per la rinascita del genere horror italiano”. In mezzo, vi è la parentesi da tutor nel corso di regia alla scuola di Cinecittà, per non parlare di tutto ciò che riguarda il piano musicale. Cosa credi abbiano aggiunto queste esperienze alla tua vita? E come guardi al futuro delle nuove leve?

«Devo dire che tutta questa storia mi ha un po’ stravolto. Ho cominciato quasi per caso e a un certo punto son successe delle cose a livello internazionale che mi hanno catapultato in una situazione inaspettata, soprattutto con gli ultimi film, due titoli molto apprezzati all’estero e nei festival. Da una scommessa iniziale mi sono ritrovato così proiettato in questo circuito. La mia vita ha subito uno scossone. Ormai ero avviato con la musica e aggiungere tutto questo mi ha distratto. Negli ultimi anni ho fatto meno dischi…».

«Riguardo alle nuove generazioni, invece, non è certo un momento entusiasmante. Se parliamo di cinema in generale, l’Italia è un paese in cui i film, nel bene e nel male, si fanno e si producono. Mentre per il cinema di genere non ti nascondo che la situazione è piuttosto ardua».

«Il mercato italiano è uno dei più piccoli in assoluto, dominato in larga parte dagli USA. Tutto è nelle loro mani e non lasciano molto spazio ad altro. Per questo bisogna puntare su un cinema indipendente fatto con budget limitati e cercare di importarlo. È un sistema costruito e consolidato che non dà chance. Vedila un po’ come la logica degli spazi in un supermercato […] grossi business fatti da grossi numeri. Ed il cinema indipendente non è proprio contemplato nel tavolo delle trattative».

In qualunque altro paese, chi ha talento e creatività ed è in grado di riproporre e innovare al tempo stesso viene subito osannato. In Italia, invece, gli danno addosso. Qual è il tassello mancante? Cosa ci sfugge?

«È un discorso un po’ diverso. Io ho capito che questa mia discesa in campo come regista in realtà ha creato due fazioni molto precise. Una è costituita da persone entusiaste che mi apprezzano. Mentre dall’altra parte c’è un nucleo molto solido di persone che mi odiano a priori e detestano il mio lavoro parlandone aspramente».

«Devo dire che questa doppia reazione mi ha fatto molto piacere perché di solito o si piace o non si viene minimamente considerati. Questo significa che alla fine riesco in qualche modo a catturare bene l’attenzione ed il risultato ha prodotto in rete numerose recensioni seguite da altrettanti commenti. Ho letto di tutto al riguardo… ad un cero punto diventi immune e quello che ti interessa è che le cose che fai vengano in un modo o nell’altro seguite. Arrivi ad un nuovo livello di consapevolezza».

«Questa grande attenzione nei miei confronti diviene motivo di soddisfazione perché evidentemente quello che faccio è soggetto a varie interpretazioni, ha carattere, quindi è foriero di una certa personalità. Che tradotto per me, equivale ad una vittoria. Di questo passo Tulpa potrebbe essere definito senza esagerazione il film italiano più controverso degli ultimi anni».

Ne “L’essenziale” canti l’importanza di riuscire ad avere qualche cosa di buono da fare o da dire. Ma in un horror qual è secondo te l’elemento essenziale? E che cosa è necessario fare per non restare a guardare?

«In un film horror gli elementi essenziali sono il divertimento, la paura e il coinvolgimento dello spettatore. Tulpa è un film che è stato fatto sin dall’inizio con l’intento di richiamare un certo tipo di atmosfere, quelle del giallo all’italiana degli anni ‘70 e ‘80 che comprendevano sì l’orrore con ammazzamenti piuttosto crudi però c’erano anche degli elementi di contorno che davano quel sapore particolare. In questo senso, il giallo è un miscuglio proprio come un piatto con molti ingredienti, per rimanere sul piano culinario».

«Shadow era un film essenziale con una linea precisa, questo qui, invece, è un po’ un mix, dove c’è di tutto: paura, sesso, forzature, persino elementi buffi ai limiti del grottesco dove gli attori vengono spinti in situazioni sopra le righe, con una sospensione dell’incredulità differente, quasi soprannaturale. Pensiamo alla scena del pupazzo in Profondo rosso. Chi avrebbe mai pensato di spingerlo contro l’attore? Non c’è una risposta, così come in tanti film di quegli anni. Bisognava solo stare al gioco e divertirsi con questa follia artigianale ed è ciò che ho fatto io».

«Alcuni hanno criticato quest’aspetto ma era assolutamente voluto. Idem per il doppiaggio. Per quale ragione avrei dovuto far recitare gli attori in inglese per poi ridoppiarli? Volevo contribuire a creare quell’atmosfera straniante che si usava in quegli anni. Di certo, non si può pretendere che tutti colgano ogni aspetto. All’estero tutti questi elementi, invece, non sono analizzati al microscopio perché il film viene considerato dal punto di vista dell’intrattenimento».

Anche se hai diretto tre film, nell’immaginario collettivo rimani in primis un cantautore. Quant’è diverso comporre una colonna sonora da una semplice canzone? Parlaci del rapporto con tuo fratello Francesco.

«La colonna sonora è un lavoro molto diverso perché devi entrare nell’atmosfera generale del film. Lavorare con lui è una fortuna per il semplice fatto che siamo molto affiatati e questo ci aiuta molto perché in una scena basta uno sguardo per capirsi immediatamente. Non servono parole. La musica nei film è un lavoro importantissimo, soprattutto negli horror, dove sono presenti lunghi momenti di silenzio affidati ai suoni. Le immagini possono far paura, ma la musica non scherza. Quando mi concentro nella regia, mi piace l’idea di avere qualcun altro che si occupa dell’aspetto sonoro, insomma, un’altra testa o meglio, un altro orecchio. Poi c’è anche Andrea Moscianese che collabora con Francesco ed è bravissimo. È un peccato che ci si soffermi poco sulle musiche dal punto di vista della critica».

«Musiche inquietanti a parte, adesso stiamo lavorando di nuovo su tutta la linea, compreso il nuovo disco dei Tiromancino, in uscita a breve. Siamo in un ottima fase creativa».

Continua…

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