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Cinespresso | April 19, 2024

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To the Wonder, il ritorno di Malick

To the Wonder, il ritorno di Malick
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
7
Regia
7
Script
6.5

Rating

Un film in stilemi quasi da videoarte: bellezza pura. Ma il cantico sentimentale della marea Malick, dopo le prime risacche diventa un po’ ridondante

Anno: 2012 Durata: 112′ Distribuzione: 01 Distribution Genere: Drammatico Nazionalità: Usa Produzione: Redbud Pictures Regia: Terrence Malick

Una grande anteprima per il Flaiano Film Festival ieri sera con la proiezione dell’ultima controversa fatica di Terrence Malick, in uscita il 4 luglio

Dopo poco più di un anno dall’universale The Tree of Life, il regista americano più inusuale e venerato di Hollywood torna con un’opera sull’amore di coppia. A Parigi si innamorano Marina (Olga Kurylenko) e Neil (Ben Affleck), e il loro sentimento li porta alla meraviglia, To the wonder, cioè sulla spiaggia molle e fusa con l’oceano e tra i colonnati di quel posto magico che è Mont Saint Michel, in Francia. Dall’acme sentimentale dei due l’autore Terrence Malick parla in immagini. Metafore visive morbide ma potenti – più o meno lampanti non importa, poiché magnifiche – dalle soggettive pixelate iniziali alle foglie autunnali soffiate via da un giardino, passando per le poetiche maree che bagnano i piedi della coppia. Stilemi quasi di videoarte in bellezza pura, il testo è immagine perché si glissa sui loro discorsi. Soltanto la voce pensiero di lei, francese, porta a una dimensione più prosaica.

Poi arrivati in Oklahoma per vivere nel paese di lui, ecco la difficoltà nel cementarsi della nuova famiglia. Così alla scadenza del permesso di soggiorno di Marina e della figlia il distacco. Lei di nuovo a Parigi, lui a intraprendere una nuova storia breve con una vecchia conoscenza impersonata da Rachel McAdams. Maree sentimentali appunto, perché Marina tornerà da Neil e la crisi dei tradimenti busserà meschina alla loro porta.

Quello che avevamo non era niente. Tu l’hai fatto diventare niente, piacere, lussuria.

È la confessione del cuore della donna ferita da Neil/Affleck. Il cantico sentimentale di Malick dopo le prime risacche diventa però un po’ ridondante per diversi motivi. Affleck è un bravo attore, ma il suo personaggio, per la scrittura e la regia che troppo spesso neanche lo guarda negli occhi, lo azzittisce e immobilizza, riducendolo a un character quasi muto e spesso espressivo, più adatto a un presepe vivente che a un film così ambizioso. E questo è un peccato sia per l’attore, che vale molto di più, sia per la pellicola, che invece parla sì di amore in senso totale, ma senza un pezzo. D’altra parte la Kurylenko è gioiosa e viva e intricata e fresca come ogni gran donna innamorata sa essere. I suoi pensieri narrati dalla doppiatrice Chiara Colizzi offrono punti importanti al film. Anche se andando avanti, il gioco troppo muto con la macchina da presa diviene ampolloso nelle immagini di sicuro meno sensazionali che offre la location americana.

A proposito di punti importanti è necessario invece parlare un certo Javier Bardem, forse la vera controparte maschile vivente del film. Il suo prete alla ricerca del senso delle cose attraverso le più nascoste sofferenze della comunità dove serve è una parte parallela ai protagonisti che dona una punteggiatura preziosissima, con un’interpretazione superba. Profondo, irrisolto e mai scontato è il suo discorso interno sulla fede e sui sensi dell’esistente attraverso un divo unico per i suoi tratti forti, ma sempre diverso e convincente nei suoi lavori.

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