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Cinespresso | April 20, 2024

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Gosling e Refn, le pecore nere di Cannes

Gosling e Refn, le pecore nere di Cannes
Francesco Di Brigida

Review Overview

Cast
8
Regia
8.5
Script
7

Rating

Anno: 2013 Durata: 90′ Distributore: 01 Distribution Genere: Drammatico, Noir Produzione: Space Rocket Nation Regia: Nicolas Winding Refn

Ha suscitato controverse reazioni tra i critici del Festival di Cannes 2013 la visione di questo nuovo, cupo noir di Nicolas Winding Refn. Dopo il successo di Drive, il regista danese e Ryan Gosling tornano a lavorare insieme in Only God Forgives. Per il pubblico italiano Solo Dio perdona.

Si tratta di una storia cruda dove ogni  personaggio si macchia l’anima in maniera indelebile. Tutto succede a Bangkok. Julian (Gosling) è un grosso trafficante di droga insieme al fratello (Tom Burke) e la loro copertura è un club di combattimenti di Thai Boxe. Una notte Billy, il maggiore dei due, violenta e uccide una ragazza di sedici anni, e viene giustiziato per volere di Chang (Vihaya Pansrigarm), gelido e sanguinario poliziotto che gestisce la legge come fosse propria e amputando i nemici di essa, a metà tra un bambino che gioca con le lucertole e un moderno giustiziere samurai. La morte di Billy attira in Thailandia Crystal (Kristin Scott Thomas), la madre ricca e spietata dei due ragazzi, assetata di vendetta per il figlio. Julian sarà costretto da una Scott Thomas tanto fascinosa quanto ambigua e sboccata, a provvedere alla caccia ai responsabili della morte del fratello.

Il nuovo film di Refn parte dalla sua idea di raccontare, nelle parole del regista, «un uomo che vuole lottare contro Dio». La narrazione parla allo spettatore sostanzialmente per immagini, infatti lo stesso protagonista Gosling ha pochissime battute e lunghe inquadrature fatte di minimalismo attoriale e montaggio riflessivo su una regia dal gusto raffinato con il movimento e la composizione sontuosa degli elementi scenici. Insieme ad un estetizzazione del quotidiano che ricorda quella di Paolo Sorrentino in This must be the place e Le conseguenze dell’amore. Ma alla pastosità mediterranea del regista italiano si sotituiscono una lucidità algida che sa di Scandinavia
insieme a una visione più nuda e disposta a scivolare come un silenzioso elegante e implacabile ascensore nei meandri più neri dell’animo umano.

Solo Dio perdona è una pellicola dove l’antagonista è il poliziotto Chang, un Pansrigarm glaciale e ieratico, sempre stoicamente vestito di nero come un prete missionario. Un incrocio viscido tra maestro orientale e un papa nero. Rappresenta il male puro, il peggiore, quello cioè con la pretesa di giustizia e ordine delle cose. Ha una bambina ignara dell’uso che fa delle sue spade, e nei momenti di vita sociale si esibisce da chansonnier nelle balere della metropoli thailandese circondato dai colleghi/sudditi o da prostitute d’alto bordo. Scene che scandiscono in un inquietante contrappunto di ostentatamente dolce leisure un film dallo sguardo sgranato sulla tumultuosa immobilità e sessuofobia tutte interiori del protagonista.

Per l’autore ci sono «similitudini tra Chang, One Eye di Valhalla Rising, e Driver di Drive. Sono tutti personaggi permeati da una mitologia fiabesca che hanno difficoltà a vivere la realtà quotidiana». Oscuro come Javier Bardem in Non è un paese per vecchi, flemmaticamente consapevole e composto come un Hannibal Lecter, il nuovo divo thailandese giustizia, insegue, combatte a mani nude, gioca insieme a una bambina, si allena con la spada in un parco e da ordini ai suoi sgherri con una naturalezza e una freddezza da brivido. E non soltanto grazie a regia e scrittura.

Al papa nero di Bangkok si contrappone l’antieroe fragile Julian, un Gosling sempre più intimo e introspettivo, almeno rispetto al precedente al suo personaggio disperato in Come un tuono. Il suo è un personaggio che nasconde col silenzio fobie, perversioni e soprattutto ricerca una risposta superiore, anche se secondo l’autore «la maggior parte delle volte non sappiamo qual è la domanda». A lui Refn riserva molte inquadrature sulle mani, che nella loro plasticità, quando non in un totale, parlano per il loro padrone in maniera eloquente e quasi più dello sguardo dello stesso attore canadese.

Una prova ottima anche quella di Kristin Scott Thomas, che nelle parole dello sceneggiatore è «incredibilmente brillante, ha quell’aura che io definirei da classica mitologia Hollywoodiana». E che dà il meglio di sé nella scena della cena con il figlio e la finta fidanzata Mai (Rhatha Phongam), in realtà prostituta del voyer Julian che sogna di essere posseduta dal suo affascinante cliente. La madre padrona ordina secca per tutti e tre al cameriere. Del granchio per lei, pollo speziato per Julian e liquida la ragazza con un’insalata. Con salsa a parte. E poi parte il suo monologo sui due figli, la vendetta e il suo confronto a dir poco sopra le righe.

Film tecnicamente impeccabile e esteticamente maestoso, nonostante le bassezze raccontate. Per un pubblico pronto alle sensazioni forti.

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